

Nel 1933 vinse l’Oscar per La gloria del mattino, disertando la premiazione come avrebbe fatto nel ’68 (Indovina chi viene a cena?), nel ’69 (Il leone d’inverno) e nell’82 (Sul lago dorato). Era però una protagonista divisiva e il successo l’abbandonò. “Non riuscivo a piacere al pubblico”, avrebbe spiegato nel docufilm-confessione All about me del 1993. Passata da un flop all’altro, venne definita “veleno per il botteghino”. Dorothy Parker, da critico del New Yorker, scrisse: “Sul palco è capace di recitare tutta la gamma delle emozioni dalla A alla B”. Scontava le risposte provocatorie, il no agli autografi, lo stile fuori registro. “Volevo disperatamente essere una star, egoista fino al midollo”, avrebbe riflettuto molti anni più tardi. Ma risalì aggrappandosi alla dote peculiare: il coraggio. Accettò in A woman rebels il ruolo di Pamela che sfida le convenzioni con un figlio illegittimo, omaggio alle idee materne. E il fidato Cukor le cucì il ruolo dell’ereditiera Tracy Lord in Scandalo a Filadelfia: “Katie, tutto è perdonato”, fu il tono delle recensioni (nel 1956 divenne l’ultimo film di Grace Kelly nel remake-musical High Society con Bing Crosby, Frank Sinatra e Louis Armstrong).
Finché nel ’42 arrivò La donna del giorno, primo dei nove film con Spencer Tracy. All’incontro preliminare Hepburn, scarpe con tacchi a spillo, lo fissò: “Temo di essere troppo alta per lei, signor Tracy”. Il produttore Mankiewicz sigillò la tregua: “Non preoccuparti, ti accorcia lui”. Lo scambio di battute ricalca il battibecco di una screwball comedy, genere brillante fra il comico e il romantico che vide Hepburn mattatrice accanto a Cary Grant e Jimmy Stewart, diretta da George Stevens, Capra, Howard Hawks. Fu l’inizio di una cruciale relazione professionale e sentimentale, duello sul set e nel ménage quotidiano interrotto nel ’67 per la morte di Tracy, malato di cuore. Stramazzò a terra con in mano una tazza di tè in cucina, lei ancora a letto, 17 giorni dopo lo stop alle riprese di Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer.
