“Noi non siamo niente, ma siamo tutto”, dice una delle protagoniste di Diamanti, l’ultimo film di Özpetek presentato al Lincoln Center nella rassegna Open Roads, e in questa frase è tutto il senso del grande omaggio che il regista dedica alle donne. Premio David di Donatello, Nastro dell’Anno dai critici cinematografici, numero uno al botteghino in Italia e già venduto in oltre 40 paesi, Diamanti è un film molto particolare per il regista di origine turca. Divenuto celebre per aver sdoganato anzitempo l’omosessualità al cinema, da Bagno turco a Fate Ignoranti e così via, Diamanti ha tutte protagoniste femminili, le sue attrici più amate. E una dedica finale ad altre attrici, con cu avrebbe voluto lavorare e non è riuscito, le indimenticabili Mariangela Melato, Virna Lisi, Monica Vitti.
Il film è particolarmente bello – esordiamo – perché emerge come fossi totalmente a tuo agio. La storia è bella, con questa presenza fortissima di donne, con un potere interiore profondo. Ma colpisce anche il tuo entrare e uscire dalla storia, come un Deus ex machina che si manifesta con naturalezza, senza forzature, in un confronto fra realtà e finzione, memoria, bellezza del cinema.
Ferzan Özpetek sorride: “Dici bene, nessuno me lo aveva detto: ero molto a mio agio. Girare Diamanti è stato come cucinare un piatto difficile ma familiare. Era un film molto complesso con 18 attrici, ogni mattina partivano diciotto macchine per andare a prenderle, e diciotto assistenti. io volevo raccontare come lavoro. Faccio sempre un pranzo con tutti gli attori e leggiamo insieme la sceneggiatura. Dopo dieci giorni li richiamo, perché tante cose cambiano. Le battute, le situazioni, anche intere scene vengono riscritte. Gli attori hanno un sesto senso, e io lo seguo. Sul set, avevo otto ore al giorno e due operatori, ma giravo con una facilità incredibile. A volte mi venivano idee forti sul momento, come quella della scena tra le due sorelle: non era scritta, mi è venuta in mente quella mattina. Io piangevo, loro piangevano. È stato tutto molto emozionante, ma allo stesso tempo semplice.”

Özpetek racconta di aver ritrovato un sentimento antico: “Mi sono tornati in mente i miei primi anni da assistente, quando portavo gli attori in sartoria. Ero alle prime armi e a volte, quando arrivavano attrici famose come Catherine Deneuve, volevo scomparire.”
Alla domanda se il film sia un omaggio alle donne, per adeguarsi ai tempi più conservatori in cui viviamo, Özpetek risponde secco: “No. Io ho sempre avuto un pubblico prevalentemente femminile. Anche in film come Nuovo Olimpo, che racconta una storia tra due gay, le donne sono sempre state il mio pubblico più forte. E questo film ha avuto anche un pubblico nuovo: ha fatto quasi 17 milioni di euro solo in Italia, una cifra astronomica. Gente che non ti aspetti, uomini d’affari, banchieri, per la prima volta mi fermano per strada e mi dicono sei un genio meraviglioso!”
“Non ho mai fatto niente con la testa,” aggiunge, “vado col sesto senso. Volevo lavorare con tutte le mie attrici. Con loro ho un’intesa diversa rispetto agli attori, anche nella vita. Sono almeno dieci anni che dicevo alla mia agente che volevo fare un film solo con donne. Lei mi diceva: ‘È difficile’. Poi arrivava un altro progetto, e così via.”

“Per me l’amore è al centro di tutto”, conclude. “Un amore che, nel film, diventa tenerezza, collaborazione, cura reciproca. Anche tra donne. E poi ci sono i personaggi maschili, certo, ma anche loro sono attraversati da una femminilità nuova. Come l’uomo che rinuncia al suo amore per stare vicino alla donna che ama: un gesto da donna, direi.”
Infine, un omaggio a un’attrice e a una storia vera: “Avevo chiamato una grande attrice di teatro per Cuore sacro, Valeria Moriconi. Vado a casa sua e lei mi riceve in un’atmosfera bellissima: al collo aveva un collare ortopedico, come Elena in Diamanti. Mi dice: “Voglio assolutamente fare questo film”, ma dopo un mese mi richiama per dirmi che non lo può più fare, una sua amica sta male e lei vuole starle vicino. Passa un altro mese ancora e scopro che è morta: era lei quella che stava male. Nel film ho voluto riprendere quel personaggio, con parole che parlano di morte e di vita. Non importa se lo spettatore capisce tutto: ciò che conta è che resti un’emozione.”
Al Walter Reade Theatre il 3 Giugno alle 6.30 pm