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May 29, 2025
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Il Met riapre l’ala Michael C. Rockefeller

Dal 31 maggio, Africa, Americhe indigene e Oceania in un nuovo allestimento

Monica StranieroLuciana CaprettibyMonica StranieroandLuciana Capretti
Africa subsahariana nella nuova Michael C. Rockefeller Wing, Metropolitan Museum of Art, New York. In mostra opere dal XII secolo a oggi, tra cui installazioni contemporanee e sculture rituali. © The Met, 2025

Americhe Primitive nella nuova Michael C. Rockefeller Wing, Metropolitan Museum of Art, New York. In mostra opere dal XII secolo a oggi, tra cui installazioni contemporanee e sculture rituali. © The Met, 2025

Time: 3 mins read

Dopo quattro anni di chiusura, progettazione e lavori, il 31 maggio riapre la Michael C. Rockefeller Wing del Metropolitan Museum of Art, completamente ripensata su oltre 3.700 metri quadrati grazie al progetto dell’architetto Kulapat Yantrasast (studio WHY), in collaborazione con Beyer Blinder Belle.

Tre grandi geografie si danno appuntamento in questa ala: l’Africa subsahariana, le Americhe indigene e l’Oceania. Ma non si presentano come continenti fissi: si muovono lungo linee oblique che attraversano materiali, riti, ferite e resistenze. La nuova Michael C. Rockefeller Wing è interamente dedicata a opere un tempo classificate come “primitive” e oggi finalmente valorizzate nella loro specifica identità culturale. Sono 1.726 i pezzi esposti – tra statue, pali funerari, gioielli, maschere, affreschi, dipinti, fotografie e tessuti – frutto di donazioni e acquisizioni, che trovano ora una collocazione più coerente con la conoscenza e il rispetto crescenti nei confronti delle tradizioni da cui provengono.

Maschera della Papua Nuova Guinea esposta nella sezione Oceania della Michael C. Rockefeller Wing al Metropolitan Museum of Art. @Met
Maschera della Papua Nuova Guinea esposta nella sezione Oceania della Michael C. Rockefeller Wing al Metropolitan Museum of Art. @Met photo VNY

L’ingresso nella galleria dedicata all’Oceania è un passaggio nell’immaginifico. La scansione dei moderni archi della volta evoca l’interno del corpo di una balena, o una canoa capovolta. La luce riflessa nel bianco delle pareti e nei vetri delle bacheche guida lo sguardo verso sculture alte, fantastiche, intagliate nel legno, che rappresentano corpi umani o creature simboliche. Le sculture Asmat raccolte da Michael Rockefeller dialogano con opere contemporanee che riflettono su continuità culturali e traumi storici. Al centro dell’allestimento si trova il soffitto cerimoniale Kwoma, esposto in una sala illuminata da luce naturale. Lungo il percorso, oggetti rituali e domestici, opere maschili e femminili superano le distinzioni tra sacro e quotidiano, rivelando una lettura culturale più complessa.

Costume Asmat della Nuova Guinea della metà del ‘900 usato per i riti funebri. @Met photo VNY

Il colpo d’occhio prosegue nell’area dedicata all’Africa subsahariana, dove una volta architettonica evoca la Grande Moschea di Djenné. Cinquecento opere, dal XII secolo a oggi, sono distribuite in uno spazio che segue il flusso della memoria, non la cronologia. I tessuti monumentali di Abdoulaye Konaté ricoprono intere pareti come mantelli cerimoniali cuciti di colore e politica. Una serie di film documentari di Sosena Solomon accompagna i visitatori con voci sussurrate: artigiani, cantastorie, madri. Dopo alcune gallerie di passaggio più scure – pensate per proteggere le opere dalla luce – si apre l’ala vetrata dedicata alle Americhe indigene.

Circa 700 oggetti in ceramica, piume, metallo e codici raccontano le culture maya, inca, zapoteca e caraibica come strutture ancora vive. Una galleria speciale è dedicata ai tessuti andini, approfondendo tecniche, simbolismi, ruoli di genere e gerarchie spirituali. La disposizione mira a valorizzare l’identità di ciascuna opera e delle comunità da cui proviene.

Oceania della Michael C. Rockefeller Wing al Metropolitan Museum of Art osservano alti pali cerimoniali della Papua Nuova Guinea
Gli Asmat, abitanti del sudovest della Nuova Guinea onoravano gli antenati con riti funebri per i quali venivano costruiti questi pali intagliati che poi venivano distrutti. Questi sono stati acquisiti da Michael C. Rockefeller. Metropolitan Museum of Art @Met photo VNY

“L’idea non è semplicemente quella di esporre”, spiega la curatrice Alisa LaGamma. “È far parlare. E le voci che si ascoltano ora non sono quelle del collezionista, dello storico dell’arte, del curatore. Sono quelle degli artisti. E delle comunità da cui queste opere provengono”.

Questa nuova interpretazione ha radici profonde. Quando, agli inizi del Novecento, il Metropolitan Museum ricevette una donazione di arte precolombiana, la trasferì al Museo di Storia Naturale, ritenendola più adatta a stare tra i dinosauri e i minerali. L’arte “primitiva” era allora priva di autori riconosciuti, e priva di contesto culturale. Anche Nelson A. Rockefeller, collezionista e politico, trovò poco entusiasmo quando, negli anni ’50, propose di donare la propria collezione al Met. Fondò allora un proprio Museo di Arte Primitiva, inaugurato nel 1957 in una townhouse sulla 54esima strada, vicino al MoMA, di cui sua madre Abby Aldrich Rockefeller era cofondatrice.

Ci sono voluti altri dodici anni perché il Met riconoscesse il valore di queste collezioni, decidendo di costruire un’ala dedicata. A quel punto, alla raccolta si erano aggiunte anche le opere provenienti da Australia e isole del Pacifico, collezionate dal figlio di Nelson, Michael Rockefeller, giovane etnologo scomparso in Nuova Guinea nel 1961, all’età di 23 anni, durante una spedizione esplorativa.

Canoe cerimoniali scolpite provenienti dalla Papua Nuova Guinea, esposte nella galleria Oceania della Michael C. Rockefeller Wing al Metropolitan Museum of Art.
Canoe cerimoniali scolpite provenienti dalla Papua Nuova Guinea, esposte nella galleria Oceania della Michael C. Rockefeller Wing al Metropolitan Museum of Art. photo VNY

Oggi il museo è anche un corpo familiare. Mary Rockefeller Morgan, sorella gemella di Michael e oggi 87enne, ha seguito da vicino il processo di trasformazione. “Quello che vedo oggi – ha detto – è il sogno di mio padre. E anche quello di Michael”.

Nel giorno dell’inaugurazione, il Met si trasformerà in una piazza. Tra mezzogiorno e le sei, i cortili ospiteranno performance, danze tradizionali, piatti del Queens Night Market ispirati a cucine precoloniali. L’artista Manny Vega guiderà un’azione collettiva sulla scalinata. L’arte, per un giorno almeno, esce dalle teche. Parla. Cammina. Suona.

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Monica Straniero

Monica Straniero

Luciana Capretti

Luciana Capretti

Nata a Tripoli, Libia, ha studiato a Roma, lavorato più di 20 anni a New York come corrispondente per varie testate giornalistiche e per la Rai, e a Roma nella redazione esteri del Tg2. Ha scritto i romanzi Ghibli (Rizzoli) e Tevere (Marsilio), il saggio La Jihad delle donne (Salerno) e il memoir Tredicesima Strada (Galaad).

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