Ritmo incalzante. Melodia vagamente spagnola. Ballerine magnifiche in bellissimi tutu e complicatissime combinazioni di piccoli passi, innumerevoli pirouettes, orgogliosi port de bras.
Paquita, con tutta la grandiosità della sua storia e della sua tradizione, è arrivata al New York City Ballet attraverso l’interpretazione di Alexei Ratmansky, il coreografo russo ucraino divenuto artist in residence nella compagnia dopo 12 anni all’American Ballet Theatre.
Ratmansky ha fatto rivivere il grand pas de deux del terzo atto del balletto sulla base dei disegni del celebre ballerino russo Pavel Gerdt, interprete di Paquita nel 1881, e delle note Stepanov create da Sergeyev del Mariinsky, e ha inserito all’inizio il pas de troix del primo atto, ricreato nel 1951 dal suo predecessore russo al New York City Ballet, Balanchine. Una sfida doppia quindi: la coreografia di Petipa nell’adattamento di Balanchine prima e in quello di Ratmansky poi. Una sfida vinta in parte.
Il balletto è assolutamente spettacolare per l’incredibile difficoltà delle combinazioni di passi, per la bellezza della classicità che riemerge dalla polvere del tempo, per un virtuosismo eccezionale. Ma il ritmo energico imposto alla partitura mette a dura prova i ballerini abituati ad altro tipo di coreografie. E la giustapposizione dell’interpretazione di Balanchine del Pas de Trois e poi di quella di Ratmansky del Grand Pas anziché creare una stratificazione stimolante, provocano uno spaesamento visivo. Non confluiscono armoniosamente uno nell’altro. Bellissimi dovrebbero essere piuttosto eseguiti da soli.
Paquita viene creato nel 1846 da Joseph Mazilier per il Paris Opera Ballet su musica di Édouard Deldevez, con la leggendaria Carlotta Grisi e Lucien Petipa. La storia seguiva i canoni del melodramma di allora: una giovane zingara salva la vita ad un ufficiale francese nella Spagna occupata da Napoleone, i due si innamorano ma possono sposarsi solo quando scoprono che lei è una nobile abbandonata alla nascita dagli zingari. Il balletto ha successo e l’anno dopo il giovane Marius Petipa (fratello di Lucien) lo riallestisce per l’Imperial Ballet di San Pietroburgo. Petipa, che era appena tornato dalla Spagna, vi inserisce ritmi e passi spagnoleggianti. Nel 1881, dopo aver creato i famosissimi Don Chisciotte e la Bayadere, lo ricoreografa aggiungendo il pas de trois del primo atto e il Grand Pas del terzo con la musica composta appositamente dall’austriaco Léon Minkus. La produzione rimane in cartellone al Mariinsky fino al 1926, ma la storia non resiste all’usura del tempo e nei repertori rimarrà solo il Grand Pas de Deux come esempio di assoluto virtuosismo. Grand Pas che è ora arrivato al New York City Ballet.

Il pas de trois, con Erica Pereira David Gabriel e Mia Williams è composto di una serie di variazioni molto complesse. Gabriel splendido nei suoi rapidissimi entrechat quatre, double cabriole, pirouettes chiuse perfettamente. Una interpretazione che lascia presagire un futuro brillante per il giovane solista del NYCB. Erica Pereira e Mia Williams meno sicure fino alla coda, una allegra sequenza di emboîtes.
Il grand pas de trois è un inno al virtuosismo femminile, Petipa amava coreografare per le ballerine. Sette soliste, 10 ballerine e un solo uomo. Il corpo di ballo sembra fare eco alla prima ballerina, come una moltiplicazione di arabesque e port de bras, visivamente magnetica seppure non sempre perfettamente eguale. Le quattro variazioni, esempi di assoluto virtuosismo sono state interpretate da Mary Thomas MacKinnon, Sara Adams, Emma Von Enck e Megan LeCrone.
La variazione maschile, che non appartiene alla Paquita originale, perché Petipa non creava molti assoli per gli uomini, è stata inserita da Ratmansky prendendo l’assolo di Coppelia e la musica di un altro balletto di Petipa, Il Talismano. Il risultato è un esercizio di bravuta maschile dove Roman Mejia ha potuto mostrare finalmente la sua straordinaria potenza, leggerezza velocità e gioia di danzare. Non da meno Tiler Peck effervescente nei suoi saute de basque doppi e diagonale di pique coronato da un port de bras magnifico. Una coppia straordinaria.
