Il 25 aprile alle 19.30 e il 27 aprile alle 15.00, presso il Performing & Fine Arts Center di Avon, Indiana, il pubblico americano ascolterà per la prima volta il Big Apple Concerto di Tiziano Bedetti, scritto più di vent’anni fa e mai eseguito negli Stati Uniti fino ad ora. Un concerto per clarinetto e orchestra nato nel 2001 da una proposta più che da una vera e propria commissione, in seguito all’incontro con Lawrence D. Lovett, un americano trasferitosi a Venezia, appassionato di musica e restauratore di palazzi storici.
Lovett aveva un pianoforte nel salone del suo palazzo veneziano e dopo aver ascoltato Bedetti suonare alcune sue composizioni, gli suggerì di scrivere un brano per clarinetto. Aveva anche fatto un nome, quello di David Shifrin, clarinettista statunitense molto noto, che secondo lui avrebbe potuto interpretarlo. Bedetti racconta di aver cominciato a pensare al brano proprio partendo da questo contesto: un clarinettista classico, un committente americano, una città che non aveva ancora visto ma che già conosceva attraverso la musica e il cinema. New York gli sembrava il punto d’incontro ideale per tenere insieme riferimenti diversi.
«Ho pensato agli anni d’oro del jazz, alla figura di Benny Goodman, e poi a tutto quello che poteva stare dentro una forma classica senza tradirla», dice oggi Bedetti. «Il clarinetto mi sembrava lo strumento perfetto per fare da tramite, perché è classico, ma ha anche una lunga storia popolare, legata al jazz, al klezmer, a tanti linguaggi diversi».
Il concerto, che dura circa venticinque minuti, è diviso in tre movimenti. Il primo, in forma sonata, lavora sullo spazio verticale e richiama lo skyline di Manhattan; il secondo è più raccolto, con una scrittura che suggerisce chiaroscuri e lentezze, ed evoca Harlem; il terzo è un rondò frammentato, veloce, con accenti ironici che rimandano all’atmosfera del Greenwich Village. I riferimenti ci sono, ma restano appoggiati alla superficie. : «C’erano immagini che mi tornavano in mente mentre scrivevo. Non era una New York realistica, era una città mentale». Bedetti a quel punto non c’era mai stato. Sarebbe andato a New York solo due anni dopo, nel 2003. Ma l’idea era già chiara.
La struttura è fondata su un’idea di coerenza interna. Il principio è quello dello sviluppo tematico: cellule musicali che si trasformano, si ripetono e si rimescolano all’interno di una varietà stilistica volutamente ampia. L’impianto è classico, ma il linguaggio guarda fuori. «Ho studiato Beethoven e Haydn, da lì arrivo. Ma uso le forme classiche per raccontare il presente», spiega Bedetti. Questa posizione ha fatto parlare di un “classicismo popolare”, una definizione che sembra contraddittoria, ma che lui accetta senza problemi. «Il neoclassicismo del Novecento spesso guardava al passato da lontano. Io penso che le forme classiche debbano essere vive, oggi». Così, nel Big Apple Concerto si trovano il jazz e il funky, il rock sinfonico e la disco music, Benny Goodman e Lionel Hampton, insieme a citazioni orchestrali più tradizionali e una leggerezza che richiama l’estetica della Pop Art. Il terzo movimento include anche un effetto-sonoro: una simulazione del fruscio di un vinile che si inceppa. «Un gesto affettuoso, non ironico. Un modo per tenere dentro anche la memoria dei suoni popolari, che hanno una loro forza e dignità».
Il progetto, dopo la morte di Lovett nel 2007, ha rallentato. La collaborazione con Shifrin si è interrotta e l’opera ha vissuto un lungo periodo di silenzio. La prima esecuzione è avvenuta solo nel 2022, in Brasile. Ma è adesso, con il debutto negli Stati Uniti, che Big Apple Concerto raggiunge la sua destinazione simbolica. «È come tornare al punto di partenza, dopo un viaggio lungo. Questo concerto è nato con l’America in mente. E ora finalmente ci arriva».A dirigere l’orchestra sarà Amy Eggleston, con la Hendricks Symphony Orchestra, circa settanta professori d’orchestra. Il programma include anche L’Amore delle tre melarance di Prokofiev e Sotto l’albero delle mele di Josef Suk.
Nel frattempo, la musica di Bedetti ha seguito un percorso articolato: esecuzioni in sedi come la Carnegie Hall e la New York University, collaborazioni con l’Istituto Italiano di Cultura in diverse città americane, brani per orchestre, quartetti, solisti. Una delle tappe più importanti resta il Quartetto d’archi n.1, intitolato Dance, in cui frammenti ritmici e timbri elettronici legati al folklore industriale contemporaneo vengono assorbiti dentro una struttura classica, in un equilibrio continuo tra sperimentazione e tradizione.
Eppure, Big Apple Concerto resta un punto fermo. Non solo perché rappresenta una delle opere più complesse e articolate di Bedetti, ma anche per il lungo percorso che l’ha accompagnata fino alla prima esecuzione. «All’inizio non mi sono posto il problema di come sarebbe stato eseguito. Ho scritto pensando alla musica, non alla logistica», racconta il compositore. Anche per questo sono stati necessari più di vent’anni prima che trovasse un palcoscenico all’altezza della sua ambizione. Un’attesa lunga, sì, ma inevitabile per un progetto di questa portata. Nel frattempo, oltre a questo debutto, la musica di Bedetti sarà al centro anche del recital del 15 aprile a Buenos Aires, con brani ispirati ai testi della poetessa seicentesca Isabella Canali Andreini.