Non è raro che la memoria della Seconda guerra mondiale riaffiori attraverso voci femminili rimaste a lungo inascoltate. Ma nel caso di Margot Wölk, quella voce è arrivata quasi fuori tempo massimo. Nel 2012, pochi mesi prima della sua morte, Wölk – 95 anni, una vita intera alle spalle – ha rivelato un dettaglio della sua biografia che per settant’anni aveva tenuto nascosto a chiunque: era stata una delle assaggiatrici di Adolf Hitler. Si tratta di una delle prime testimonianze conosciute sull’esistenza di un gruppo di giovani donne, costrette dal regime a mangiare i pasti destinati al Führer per verificare che non fossero avvelenati. Un’operazione quotidiana e sistematica, messa in atto negli ultimi anni della guerra, nel cuore della Prussia orientale. Margot è stata l’unica di loro a sopravvivere alla fine del conflitto.
La sua storia ha ispirato nel 2018 il romanzo di Rosella Postorino, Le assaggiatrici, vincitore del Premio Campiello, e oggi anche un film diretto da Silvio Soldini. La scelta del regista, alla sua prima esperienza sia con un film in costume sia con una produzione interamente in lingua straniera, è quella di entrare in punta di piedi in un universo chiuso, spettrale, dominato da donne. Il film si muove in spazi minimi. Una sala bianca. Una tavola perfettamente apparecchiata. Un gruppo di donne che, tre volte al giorno, prende posto in silenzio davanti a piatti curati nei dettagli, consapevoli che ognuno di essi potrebbe essere l’ultimo. È un rituale freddo, impersonale, che oscilla tra la disciplina militare e la roulette russa. Ogni forchettata è un patto con l’ignoto.

Al centro della narrazione c’è Rosa Sauer, interpretata da Elisa Schlott, che con sguardo trattenuto e movimenti misurati incarna il lento scivolamento dentro l’angoscia. Rosa arriva dalla Berlino bombardata e si rifugia nella casa dei suoceri, in un villaggio immerso nel gelo e nell’ordine apparente. Il marito Gregor è disperso sul fronte orientale. Lei viene convocata dalle autorità naziste per unirsi alle assaggiatrici del Führer, e accetta senza alternative. Le donne che incontra – alcune remissive, altre ostili o sarcastiche – non sono personaggi esemplari, né archetipi. Condividono con Rosa una condizione estrema: vivere sapendo che la morte può arrivare sotto forma di zuppa o dessert. Condividono anche il freddo, la fame, il sospetto. Ma anche la complicità. E i tradimenti.
Il film costruisce una tensione che non esplode mai davvero, perché è già tutta dentro i corpi, negli sguardi bassi, nei gesti trattenuti. Soldini lavora sui dettagli con cura maniacale: la fotografia slavata, ispirata ai toni sbiaditi delle pellicole Agfa degli anni Quaranta, suggerisce una realtà consumata, senza colore né redenzione. Le attrici recitano in tedesco, senza doppiaggio, e questo contribuisce a mantenere una distanza necessaria, quasi documentaria. La guerra si insinua nella quotidianità, nel gesto banale e ripetuto del mangiare — e, per estensione, del vivere. Al centro del racconto c’è anche la relazione tra Rosa e il tenente Ziegler, interpretato da Max Riemelt. Come tutto nel film, anche questo legame sfugge alle facili dicotomie tra bene e male, colpa e innocenza, inscrivendosi in una zona grigia, quel limbo in cui si consumano i compromessi e in cui la sopravvivenza stessa diventa un terreno sdrucciolevole.
Le assaggiatrici, presentato in anteprima al Bif&st 2025, arriverà nelle sale italiane il 27 marzo. Il film è stato già acquistato per la distribuzione negli Stati Uniti, anche se la data di uscita oltreoceano non è ancora stata resa nota.