Un eroe umile, un difensore della pace, della mediazione e insieme un marito e padre devoto. Quello che il film Il Nibbio racconta è un Nicola Calipari che non si conosceva. Dell’alto funzionario del Sismi caduto in un agguato delle forze armate americane a Baghdad mentre stava portando a termine la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, non si conosceva nei dettagli la strategia con i rapitori nè il lato privato, la sua dedizione alla moglie Rosa e ai due figli. Prodotto da Notorius con Rai Cinema e Tarantula in collaborazione con Netflix e in arrivo sugli schermi italiani il 6 marzo, nel ventennale della uccisione del servitore dello Stato, Il Nibbio è un film di genere, nella definizione di sceneggiatore, Sandro Petraglia e regista Alessandro Tonda, non tanto una spy story, quanto un racconto emotivamente coinvolgente.

Interpretato da un Claudio Santamaria scattante e nervoso – ho perso 12 chili per rendere meglio la sua persona, ha detto l’attore nella conferenza stampa di presentazione del film – Sonia Bergamasco nel ruolo di Giuliana Sgrena e Anna Ferzetti in quello dolcissimo della moglie Rosa Calipari, il film è potente anche se non affonda nelle dinamiche della rivalità fra Sismi e Sisde e nella analisi delle cause della uccisione. E’ potente perché mostra il lato umano, privato di questo “uomo delle istituzioni che metteva al centro di tutto la sacralità della vita” come ha detto Santamaria. “Bisognava entrare in questa storia con particolare delicatezza. Come attore ho cercato di fare uscire questo personaggio dall’interno, di fare percepire il suo grande calore umano. Sul lavoro era uno che cercava di portare la verità e la giustizia ovunque e di eliminare la corruzione. Pochi sanno che nel suo lavoro precedente in questura istituì un numero verde per le violenze sugli omosessuali e che aveva inventato il sistema degli appuntamenti per gli immigrati obbligando i poliziotti a dare del lei a questi ultimi per restituirgli la dignità. Era uno che sapeva cogliere le differenze della società anziché escluderle. E questo lo ha portato al difficile compito di mediatore.”

Come affrontare una storia così complessa sulla quale a vent’anni di distanza non si è fatta del tutto chiarezza (il mitragliere americano Lozano che ha sparato non è mai stato interrogato dai giudici italiani, e nessuno è stato condannato per l’omicidio) chiediamo allo sceneggiatore Petraglia, come decidere di raccontare il lato privato oltre a quello di agente segreto?
“Sulla vicenda di Calipari non esisteva grande documentazione – spiega – ho iniziato leggendo il libro del direttore del Manifesto Gabriele Polo Il mese più lungo. Dal sequestro Sgrena all’omicidio Calipari, lui aveva conosciuto Calipari e lo aveva stimato pur venendo da un mondo opposto, poi il libro di Giuliana Sgrena. Gli articoli dell’epoca non dicevano molto e ho capito che volevo capire la persona e dovevo incontrare la famiglia. I figli all’inizio non volevano che si facesse un film sul padre, avevano paura di versioni stereotipate, ha iniziato a collaborare la moglie. Così ho capito che questo uomo era anche molto ironico che amava la vita, il calcio, le gite in montagna. Non volevo fare un film politico, se quella fosse stata la chiave non lo avrei fatto. Di cinema così ne ho fatto tanto. In romanzo criminale la politica e i servizi ci entravano tutti, il solo fatto che la politica chiedeva alla Banda della Magliana di trattare per la liberazione di Moro, dice tutto, qui volevo fare un film su un personaggio etico, come etica è la sua famiglia e mi sono affidato all’emozione.”
“Non volevamo fare una spy story e scimmiottare i film d’oltreoceano – ha aggiunto il regista Tonda – E neppure approfondire il contesto geopolitico. Calipari non era un supereroe della Marvel, ma un uomo comune votato alla pace, alla giustizia, al senso dello Stato e al bene comune. Abbiamo voluto raccontarlo e raccontare un avvenimento importante per la nostra storia, concentrandoci sui ventotto giorni precedenti i tragici eventi del 4 marzo del 2005.”

Per tutti è stato quindi fondamentale conoscere le persone che andavano a rappresentare. “Giuliana Sgrena è stata generosissima nel raccontarsi – ha detto Sonia Bergamasco -. Ho cercato di interpretare la persona e non il personaggio”. Stessa disponibilita da parte di Rosa Calipari con Anna Ferzetti: “Rosa mi ha accolta dicendomi di farle tutte le domande che volevo. Avevo timore perché l’ho incontrata tre ore prima dell’inizio delle riprese. Pensavo di andare nel panico e invece mi ha tranquillizzata. Mi ha detto che loro si divertivano tanto e ridevano molto. Ci deve essere rispetto e umiltà nell’entrare nella vita degli altri, soprattutto quando si rappresenta la loro vita privata”.
E come ha reagito proprio lei Rosa Calipari alla visione del film, chiediamo al produttore e distributore del film Gugliemo Marchetti di Notorius Pictures?
Forse Rosa si arrabbierà per quello che sto per dire, ma mi ha confessato di aver pianto alla fine come non aveva mai pianto in questi 20 anni.