Raccontare la forma come la musica racconta i suoni. allo stesso tempo tradurre in astrazione le immagini come le note diventano composizioni evanescenti. Alcuni pittori del primo novecento a Parigi ci hanno porvato, a staccarsi dal cubismo verso panorami più astratti. a comporre sinfonie di movimento perpetuo. Il poeta Guillaume Apollinaire che li frequentava, che aveva già inventato i nomi di cubismo e surrealismo per definire altre ricerche pittoriche, battezzò questi tentativi come Orfismo. Perché gli sembrava che elevassero la loro arte sfidando le regole come Orfeo con la sua lira aveva sfidato la morte.
A questo movimento artistico il Guggenheim Museum di New York dedica la più vasta mostra allestita finora attraverso una ottantina di oggetti fra dipinti, sculture e disegni di 26 artisti: Harmony and Dissonance: Orphism in Paris 1910-1930, aperta fino al 9 marzo 2025.

Gli artisti che si misurarono in questa sperimentazione non erano solo francesi: a Parigi in quegli anni arrivavano creativi da tutto il mondo. L’Orfismo fu quindi un movimento transnazionale che nato con pochi adepti, Robert Delaunay e sua moglie Sonia Delaunay, František Kupka e Francis Picabia, si allargò presto a Marc Chagall, Marcel Duchamp, Fernand Léger, Amadeo de Souza-Cardoso e altri.
Le loro sono forme circolari che si intrecciano, si combinano in geometrie infinite. Cercano di catturare nel caleidoscopio dei colori la mobilità della città moderna in rapida evoluzione. Alcuni cercavano le assonanze, altri i ritmi sincopati della musica popolare. Hanno assorbito le influenze dei Blue Rider di Austria e Germania, e dei Neo Impressionisti lasciandosi definitivamente alle spalle il cubismo di Pablo Picasso e George Braque.

L’orfismo durò pochi anni: Apollinaire morì di influenza nel 1918, Picabia divenne un dadaista e Robert Delaunay tornò alla pittura figurativa, loro stessi peraltro preferivano chiamarsi Simultanisti che Orfisti, il movimento quindi si eclissò.

Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Photo: David Heald
Ma le curatrici della mostra, Tracey Bashkoff e Vivien Greene con l’aiuto di Bellara Huang, hanno pensato invece di mostrarne l’importanza risalendo alle origini, con un libro sui colori del 1864 del chimico francese Michel Eugène Chevreul, per arrivare alle ultime manifestazioni, con un dipinto del 1940 dell’artista francese Albert Gleizes.
Lo stesso Frank Lloyd Wright nel disegnare il suo museo, il Guggenheim che ospita la mostra, pensò proprio all’orfismo, lasciandosi ispirare da quella circolarità infinita che altro non è se non movimento danzante e sonoro. E consultò proprio alcune delle opere ora esposte che sono parte della collezione permanente del museo.
Appropriato quindi che per festeggiare i 65 anni del Guggenheim le curatrici abbiano pensato a allestire una rassegna proprio sull’Orfismo. Per la quale hanno anche provveduto a portare a termine la ripulitura della Eiffel Tower di Robert Delaunay del 1911 e del Divertimento I del 1935 di František Kupka.