I Deep Purple sono sempre stati una band di grandi musicisti. E lo sono ancora nel 2024. Della classica formazione Mark II rimangono Ian Paice alla batteria, Ian Gillan alla voce e Roger Glover al basso. Don Airey alle tastiere suona con la band dal 2001, quando sostituì temporaneamente Jon Lord, diventando poi membro permanente nel 2002. Il nuovo chitarrista solista Simon McBride, molto più giovane rispetto agli altri membri, si è unito al gruppo lo scorso anno.
Insieme a Led Zeppelin e Black Sabbath, i Deep Purple formano la “Trinità Santa” del rock, le fondamenta su cui si è edificato il genere heavy metal. Sebbene ciascuna delle tre band abbia un’identità musicale ben definita, i Deep Purple si distinguono per la loro fusione di rock psichedelico e musica classica, tracciando un percorso che ha influenzato profondamente anche il progressive rock.
La storica copertina dell’album In Rock rimane un esempio di audacia stilistica. Sulla parete del Monte Rushmore, in Sud Dakota, uno dei simboli più iconici della democrazia americana, sono stati scolpiti i volti dei cinque membri dei Deep Purple al posto dei quattro presidenti più importanti degli Stati Uniti.
Sono circa le 21.30 all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone quando si spengono le luci e parte l’inno alla libertà di scelta di Highway Star da Machine Head del 1972. Il singolo, uno dei più celebri del gruppo e da sempre brano di apertura dei loro concerti, contiene l’assolo di chitarra di Ritchie Blackmore, classificato al quindicesimo posto nella lista dei 100 migliori assoli di chitarra della rivista Guitar World del 2008.
A Bit on the Side, tratto dal nuovo album in uscita il 19 luglio, ventitreesima opera in studio dei deep Purple, dal titolo “=1”, la potente e incisiva Hard Lovin’ Man e Into the Fire, un avvertimento sulle conseguenze devastanti dell’abuso di sostanze, scorrono via che è un piacere, grazie ai loro riff potentissimi. Ian Gillan riesce ancora a sfoderare i suoi acuti con un sorriso smagliante, mentre Ian Paice, saldo come una roccia, continua a martellare la batteria con forza e precisione.

La scaletta del concerto è praticamente un “greatest hits show”. Dopo un paio di incursioni nel nuovo album, con Portable door che manca un po’ dell’originalità e dell’energia travolgente dei vecchi tempi, i Deep Purple tirano fuori una serie di pezzi classici: e così arrivano Anya, canzone tratta da The Battle Rages On, del 1993, l’ultimo lavoro con Ritchie Blackmore, Lazy da Machine Head e Uncommon Man da Now What?! del 2013, quest’ultima dedicata a Jon Lord, morto nel 2012 e vera anima sinfonica della band.
Space Truckin, sempre da Machine Head, e Smoke on the Water, il cui riff è uno dei più famosi della storia del rock, chiudono il set. Una breve pausa e poi il bis con Hush, da Shades of Deep Purple. Questo pezzo, con il suo giocoso assolo di basso di Glover e un ritornello incredibilmente orecchiabile, ha consacrato nel 1968 i neonati Deep Purple ai vertici delle classifiche statunitensi.
Dopo aver cantato Black Night, tra le canzoni di maggior successo del gruppo, scritta, come ha raccontato più volte Ian Gillan, durante un tour in Italia, i Deep Purple si prendono l’ultima ovazione dal pubblico, di età media abbastanza alta, e si congedano con una solenne promessa: “Torneremo”.