A Malmö in Svezia ha vinto il giovane svizzero Nemo con The Code, ma l’edizione 2024 del Festival Eurovision sarà ricordata soprattutto per le polemiche attorno alla canzone di Israele.
Poche cose sono più kitsch dell’Eurovision, competizione musicale itinerante che ogni anno raccoglie davanti alla tv decine di milioni di spettatori da tutta Europa, fonte di grande successo in diversi paesi. Competono – su un maxi palcoscenico circondato dal pubblico e illuminato da effetti speciali tagliati su misura per ogni artista – le canzoni selezionate da ogni nazione. In Italia tocca al vincitore del Festival di Sanremo e quindi in questo 2024 a Angelina Mango con La noia, arrivata settima; nel 2021 vinsero i Maneskin con Zitti e buoni, e da lì è cominciata la loro ascesa internazionale.
Il pubblico, le aspettative, l’enfasi sui media, il giro di business che si scatena intorno al gigantesco spettacolo, con le sue ricadute sull’economia della città ospitante, sono in genere molto superiori a quanto meriterebbe la qualità artistica delle canzoni in gara. Però è uno specchio dello stile, delle novità, delle aspirazioni musicali e sociali che emergono ogni anno da 37 paesi.
The Code, la canzone vincitrice, è orecchiabile ed è contagioso l’entusiasmo di Nemo, un elfo in minigonna e gilet di piume rosa che si proclama non binario: “This story is my truth / I went to Hell and back / To find myself on track / I broke the code, whoa-oh-oh / Now I found paradise” scandisce il ritornello, mentre Nemo salta su e giù da un disco metallico probabilmente montato su giunti idraulici.

Un inno non gradito a tutti, evidentemente: in Italia Roberto Vannacci, il generale sospeso dall’Esercito, candidato con la Lega alle Europee, commenta sui social “Il Mondo al Contrario è sempre più nauseante”, bontà sua.
Il palco dell’Eurovision è sempre stato anche cassa di risonanza di questioni politiche. Nel 2022 vinse l’Ucraina della Kalush Orchestra: premio a una canzone interessante ma anche risarcimento per l’invasione subita dalla Russia.
Quest’anno, l’oggetto del contendere è l’offensiva israeliana a Gaza e ne ha fatto le spese la cantante israeliana Eden Golan: la sua October Rain è stata rifiutata perché avrebbe fatto riferimento al sanguinoso attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre (“I’m still wet from this October rain/
October rain”); la European Broadcasting Union (Ebu) l’ha ritenuta in violazione della neutralità politica della competizione. Allora la cantante ha presentato Hurricane – stessa musica e testo molto simile ma non si parla di ottobre. Golan è stata vivacemente contestata dal pubblico in gara sia durante la prima esibizione che nella finale.

In questi giorni la sicurezza svedese ha organizzato una scorta che l’ha accompagnata. La contestazione all’artista 20enne è proseguita anche fuori dal palazzetto di Malmö, con un gruppo di manifestanti sorvegliati dalla polizia a cavallo e da un elicottero, poi spostati in una zona a qualche centinaio di metri; fra di loro anche l’attivista svedese per il clima Greta Thunberg. Golan ha concluso la sua esibizione sorridendo; in classifica è arrivata comunque quarta (Israele nella storia ha vinto quattro volte l’Eurovision).
Si diceva che fosse fra le favorite, ma i meccanismi del voto dell’Eurovision sono complicati: ciascuno dei 37 paesi partecipanti assegna due serie di punti (da 1 a 8, e alle due preferite 10 e 12 punti), una dalla propria giuria professionale e una dal pubblico; quelli del pubblicato vengono espressi per telefono (ma chi chiama da un paese non può votare per quel paese). I voti della giuria sono spesso oggetto di scambi e accordi reciproci.
Un’altra polemica ha offuscato la finale: i partecipanti alla fine erano in realtà 36, perché l’artista olandese Joost Klein è stato squalificato alla vigilia dopo uno scontro con la camerawoman che lo stava riprendendo a fine esecuzione. Si parla di “insulti sessisti”, lei lo avrebbe denunciato per minacce.
Appuntamento l’anno prossimo in Svizzera, patria di Nemo, che oltre alla canzone, ha fatto vincere il gender fluid.