Un personaggio in cerca d’autore. Può una creatura sopravvivere al suo creatore? E chi ha creato chi? Alla morte di Hugo Pratt, ventinove anni fa, Corto Maltese è rimasto solo: aveva perduto il padre-demiurgo. “Quando Pratt disegnava Corto cominciava dagli occhi. Si guardavano, si capivano e cominciava la magia”, scrive Marco Steiner che in qualche modo cerca di colmare quel vuoto dell’anima. È un passo obbligato perché il marinaio con l’orecchino, l’anarchico cosmopolita, possa tornare a navigare. Ricominciando a vivere sulla pagina scritta, se non in un fumetto.

In realtà il Maltese non se n’è mai andato. Gli spagnoli Díaz Canales e Pellejero prima, i francesi Quenehen e Vivès poi, hanno provato a ridargli forma. L’hanno coinvolto in nuove avventure, secondo lo schema canonico del suo autore oppure trasformando radicalmente personaggio e struttura narrativa. Sempre però all’interno della letteratura disegnata. Steiner, che è stato strettissimo collaboratore del maestro di Malamocco, ha un approccio differente: fa letteratura in senso stretto, chiudendo il cerchio iniziato fra il 2014 e il 2015 con i romanzi Corvo di pietra e Oltremare. In quei libri si muoveva un Corto ragazzino: un prequel, per usare il linguaggio cinematografico. Stavolta no, stavolta la salita è molto più complicata. E ancor più ambiziosa.
Corto Maltese e Irene di Boston, pubblicato da Cong, è prosa fusa a poesia. Venuto alla luce anni fa come testo multimediale per il teatro, il plot viaggia ora affiancato dagli acquarelli di Hugo: tavole che evocano gli stati d’animo del protagonista, i luoghi nascosti e gli altri interpreti del cast – il suo lato oscuro Rasputin, l’angelo caduto Shamael, la maga vudù Bocca dorata, Puck il corvo parlante, la rossa Banshee che porta sventura a chi s’innamora di lei. Ma niente è come sembra. Vento, polvere, vapori, nuvole. I gabbiani e una vela all’orizzonte. Nel tuono di un’esplosione il romantico antieroe scivola via nell’etere. È smarrito, angosciato, pieno di dubbi: “Se anche Hugo Pratt fosse stato solo un sogno? Se anche lui fosse il disegno di qualcuno?” Così precipita lentamente sospeso in un gorgo. Non sa chi è e dove sia, galleggia senza peso nell’aria priva di colori mentre il vortice lo trasporta lontano. Di certo il creatore dagli occhi azzurri, che gli aveva aperto la porta segreta dei sogni, l’ha abbandonato. E’ una spiaggia il nowhere dove approda o è il deserto? Quando vede gli idoli di pietra giganteschi, finalmente capisce: si trova sull’Isola di Pasqua. La chiave d’entrata a Mu, il continente perduto nell’oceano, l’ultima storia cavalcata assieme a Pratt. Forse allora ricominciare è possibile, anziché rassegnarsi e affondare.

Da dove ripartire? Dalle origini, ovviamente. C’era una volta un marinaio di nome Roland venuto da Tintagel: la Cornovaglia di re Artù, gli elfi e le fate. E c’era una bella gitana dagli occhi di fuoco, per tutti la Nina di Gibraltar. Tra loro scoppiò l’amore: fuggirono alla Valletta e lì, il 10 luglio 1887, nacque il bambino che chiamarono Corto. Finché lui sparì su una nave e lei se ne tornò in Spagna con il figlioletto. Lo allevò in una casa al sole di Cordoba fra libri, chitarre andaluse, lo schioccar di tacchi del flamenco e la profezia malaugurante di un’indovina: sulla mano sinistra mancava la linea della fortuna. Ma il ragazzino aveva imparato che i problemi si risolvono affrontandoli. Prese il rasoio lasciato da Roland e incise una riga profonda sul suo palmo, diventando artefice del proprio destino.
Ritrovò il padre per caso a 14 anni, in un fiordo della Scozia: contrabbandava fucili, esplosivo e casse di whisky per i ribelli irlandesi. Ma in quella notte di pioggia, sulla costa fecero irruzione i poliziotti con i cani. Il marinaio inglese issò il figlio sulla barca assieme al carico, poi rimase a terra per sviare gli inseguitori. Non si sarebbero incontrati mai più. La rotta portò Corto in ogni angolo del mondo, un viaggio iniziatico che lo vide diventare adulto: da Venezia alla Cina, la Siberia meridionale, Ulan Bator in Mongolia, Samarcanda, i mari del Sud, Caraibi, Argentina, Brasile. Tutti posti frequentati da Pratt perché loro due <erano sovrapponibili. Liberi, indipendenti, curiosi. All’inseguimento di un sogno e a loro agio ovunque>, dice Patrizia Zanotti che di Hugo è stata manager e fedele compagna di viaggio.
Ecco perché quell’assenza è una lacerazione esistenziale inguaribile. Il Maltese è un naufrago che approda come Ulisse su un’isola che non conosce: è la Sicilia, è Pozzallo. Un relitto d’uomo che si è scoperto orfano, trascinato dalle onde accanto a un altro relitto ferito a morte. È una barca con il fasciame a pezzi, abbandonata sulla sabbia, che ha l’anima di una donna, che parla e che come il marinaio spiaggiato non sa più navigare. Il suo norme è Irene di Boston, grigia città della costa orientale inglese, forgiata con amore da un maestro d’ascia nel 1914. Ai tempi è stata un magnifico veliero, ma ha portato con sé troppi giovani in divisa da soldato mandati a morire in guerra. Un peso insostenibile. Ecco perché ha detto basta al mare, consegnandosi a un lento abbandono.
Ripartiranno insieme, Corto e Irene, seguendo l’unica via di fuga: il sogno. “È la lezione imparata da Pratt”, spiega Marco Steiner. E aggiunge: “Sono stato il garzone di bottega e il ghost writer, era pigro, facevo le ricerche in vece sua perché voleva documentarsi su ogni dettaglio prima di mettersi a disegnare. Camminavamo per ore, parlava e parlava mentre io registravo o prendevo appunti. Mi diceva con la cadenza veneziana: inventemo, inventemo. Mi raccomandò però di non scrivere di Corto: stagli attorno e cucigli vicino qualcosa, l’infanzia, un discendente, un’altra storia. Così ho fatto”. L’avventura, quando comincia, non finisce più.