Nel recente incontro con Xi Jinping, il segretario di Stato usa Antony Blinken ha sollevato, tra altre questioni, l’infiltrazione e la propaganda “maligna” che il governo cinese organizzerebbe in giro per il mondo, in particolare negli Stati Uniti. Spionaggio, interferenze e disinformazione esistono da sempre e continueranno sin quando gli stati non trovino le ragioni necessarie per darsi totale fiducia reciproca: il problema con la Cina è che tali comportamenti avrebbero raggiunto un livello giudicato eccessivo e pericoloso da molti stati, anche perché, come ha rilevato l’Iai, diffonderebbero propaganda politica ostile, quella del Pcc al potere basata su contenuti ingannevoli, false accuse agli oppositori, censure.
Marco Lupis, inviato e corrispondente di guerra per HuffPost e la Televisione svizzera Rsi, in Ombre cinesi sull’Italia (Rubbettino 2023), condivide quelle critiche, cercandone le radici e dettagliandone le pratiche. Ci riesce grazie alla conoscenza diretta acquisita in anni di lavoro come corrispondente da Hong Kong per La Repubblica e la Rai, e alle ricerche che gli hanno consentito libri come Hong Kong. Racconti di una città sospesa e I cannibali di Mao.
Lupis rileva che la Cina è intelligente, organizzata e lavoratrice. Da quelle qualità, la scelta di evitare (almeno sinora) le guerre e crescere economicamente. Il che ha comportato il promuoversi come potenza che si regge sul potere sharp, una caratteristica che il National Endowment for Democracy e il politologo Joseph Nye identificarono già nei primi anni del nuovo millennio, magnificandone le capacità rispetto alla ristretta gamma di azione offerta dal potere hard (campione l’America) e soft (campione l’Ue).
Il potere sharp, incarnato nella sottigliezza tagliente del ceto politico che governa la potenza asiatica, consente alla Cina di Xi, nella scrittura di Lupis, di infiltrare “lentamente ma inesorabilmente” la realtà italiana. Obiettivo strategico di lungo periodo tutto ciò che conta nella nostra struttura paese: istituzioni politiche, affari, finanza, mondo accademico, cultura, media.
Già nel 2020 – ricorda Lupis – Copasir, il comitato di Controllo sui Servizi Segreti, diede evidenza ai pericoli della penetrazione cinese, spintasi sino a violare il livello della nostra intelligence. Il che non evitò gli scivoloni dei pentastellati su talune forniture nel tempo di Covid-19 e sull’adesione a Belt and Road Initiative. Ancora di recente, l’autore nota nella Premessa, il Copasir ha scritto del rischio “incalcolabile”che il “tessuto economico italiano ed europeo” sta correndo.
Il libro riporta le situazioni che hanno trainato quel potere sharp in Italia, dettagliandole. Ne spiega l’origine nel meccanismo leninista del “Fronte unito”, collocato ai vertici del partito unico: un sistema monolitico e impenetrabile di condizionamento e influenza al servizio degli obiettivi fissati dallo stato. In quanto all’Italia, quel monolite trae vantaggio dalla cronica debolezza, arrendevolezza e fratturazione della nostra attuale società.
Per il nostro paese, mettiamoci anche l’incapacità (disinteresse?) sempre più diffusa, di comprendere, per colpevole ignoranza, la diversità intrinseca dei regimi dispotici. Costituiscono una realtà politica così estranea alle nostre esperienze, che un italiano medio riterrà istintivamente propaganda quanto Lupis ha scritto su Ild, il dipartimento internazionale di liaison che, per il comitato centrale del partito comunista, indirizza e gestisce la pluralità delle operazioni estere cinesi. Ma è il suo dirigente Song Tao, a dire che compie un “dovere sacro” in quanto ha un “ruolo importante nel consolidare il dominio del partito”. Si comprende perché Lupis definisca l’Italia “facile preda” del Fronte unito e di Ilp.
L’esergo del saggio dice quanto l’autore abbia centrato il nocciolo della questione: “ottenere cento vittorie in cento battaglie non è prova di suprema abilità. È sottomettere l’esercito nemico senza combattere, che è prova di suprema abilità”. Quasi 2.600 anni fa, Sun enunciò un principio che lo sharp power sta applicando. A quel Sun, fa da pendant il proposito del contemporaneo Confucio: “Se fossi imperatore, comincerei dal fare un dizionario, così da restituire un senso alle parole.” È come se, attraverso due sommi pensatori cinesi, soft e sharp power si fondessero per ispirare l’azione del vertice dispotico contemporaneo di Chung Kuo. Il nazionalismo e il revanscismo di una cultura, prima ancora di un paese, umiliata per secoli dai “diavoli bianchi d’oltremare”, attingono alle radici arcaiche, mai recise, per fare i conti con quel passato.