Chiuso fino a nuovo ordine, in attesa di cessate il fuoco. Il padiglione di Israele alla sessantesima Biennale d’Arte di Venezia non ha aperto i battenti; i visitatori invece possono leggere un cartello esposto sulla porta d’ingresso che avverte della chiusura “sino a che non sarà raggiunto un accordo sul cessate il fuoco e non saranno liberati gli ostaggi” nelle mani di Hamas. La decisione è stata presa dall’artista, Ruth Patir, e dai curatori del padiglione Tamar Margalit e Mira Lapidot, anche in seguito alle molte pressioni ricevute e alle minacce di boicottaggio in protesta contro l’offensiva israeliana a Gaza.
Ma la decisione di Patir assume un alto valore simbolico. Le opere erano pronte e installate, incluso un video, l’unica cosa visibile dall’esterno della struttura: il titolo è Keening, “lamento luttuoso”: immagini di statuine mediterranee, figure femminili antichissime, si muovono in mezzo a nubi rossastre.
Il progetto di Patir nella sua interessa si chiama Motherland, Madrepatria e l’artista era stata annunciata come la rappresentante italiana un mese prima dell’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre.
“Siamo diventati noi la notizia, non l’arte” ha scritto Patir su Instagram. “E visto che ho un palcoscenico di alto impatto, voglio che conti. Sono contraria al boicottaggio culturale, ma dato che non trovo risposte giuste alla situazione, e posso usare solo lo spazio che ho, preferisco alzare la mia voce per dire che sono con quelli che urlano “cessate il fuoco subito”, fate liberare gli ostaggi, non ne possiamo più”.
I morti del conflitto a Gaza sono ormai più di 33mila. Il 7 ottobre, Hamas ha ucciso 1200 israeliani e ne ha tratti in ostaggio altre centinaia; oltre cento sono ancora detenuti a Gaza, e si ignora quanti siano ancora vivi.