Un festival che da 52 anni presenta a New York I migliori registi emergenti nel mondo. Che seleziona le prime o seconde pellicole di talenti che diventeranno poi celebri, come è successo con Wim Wenders, Wong Kar-wai, Spike Lee, Pedro Almodóvar. Il New Directors New Films organizzato dal MoMA e dal Lincoln Center è una occasione speciale, nata prima che festival come Sundance o SXSW divenissero vetrine internazionali di artisti emergenti. Quest’anno ha aperto il 3 aprile e si concluderà il 14, con 25 film e 10 corti di cui una prima mondiale e 14 prime per il Nord America.
Fra i primi film visti sembra di notare da parte dei nuovi registi una attenzione verso lo scontro di sistemi, modi di pensare, tradizione e modernità. È il caso dell’ungherese Explanation for everything di Gabor Reisz, titolo originale Magyarázat mindenre, in italiano La spiegazione di tutto. Scritto da Reisz insieme a Éva Schulze, è stato presentato in prima mondiale al Festival di Venezia dove ha vinto il premio Orizzonti per il miglior Film. “Il desidero di fare questo film – ha spiegato il regista – è nato dalla profonda divisione politica che esiste nel mio paese, dove la gente non si ascolta e non si comprende. E questo crea un senso di soffocamento”. La storia inizia con un ragazzo che non passa l’esame di maturità perché fa scena muta e, per spiegare la bocciatura ai genitori apprensivi, sostiene che il professore di storia, dichiaratamente di sinistra nell’Ungheria di Orban, lo abbia bocciato perché esibiva sulla giacca la coccarda simbolo del partito conservatore. Il padre, ferito nell’ orgoglio, rende il caso di dominio pubblico, i giornali ci costruiscono storie di persecuzioni politica, invocando la purga del professore.

Altro film proveniente dal blocco ex sovietico in cui il vecchio sistema si scontra con il nuovo, in questo caso per niente migliore, è Blaga’s Lessons, film di denuncia sociale potente, con momenti di umorismo nero e una tensione quasi da thriller. Stephan Komandarev, già candidato all’Oscar nel 2008 con The World is Big and Salvation Lurks Around the Corner, è il regista e sceneggiatore. Gran premio della giuria al Rome Film Fest, miglior film al festival di Karlovy Vary, Blaga’s Lessons è la conclusione della trilogia del regista sull’ingiustizia sociale seguita al crollo del comunismo iniziata nel 2017 con Directions seguito da Rounds del 2019. “Abbiamo rimpiazzato una religione con un’altra” ha detto il regista, intendendo come prima religione il comunismo e seconda il capitalismo. “L’avvento del capitalismo in Bulgaria ha significato che un terzo della popolazione è emigrata in cerca di fortuna, sono rimasti gli anziani che sono spesso vittime dei truffatori” ha aggiunto. Blaga è infatti vittima di una truffa: ex insegnante di settant’anni vedova da poco, con pochi contatti con il figlio emigrato in America, viene raggirata e perde tutto quello che aveva risparmiato in una vita di lavoro. Divenuta lo zimbello della sua cittadina per la sua dabbenaggine decide di passare dalla parte dei truffatori per riprendersi il denaro perduto. Eli Skorcheva, celebre attrice bulgara tornata sugli schermi dopo trent’anni di assenza, premiata migliore attrice al Festival di Karlovy Vary, regge il film con il suo viso ermetico e dolente, lo sguardo a volte rabbioso, altre disperatamente folle.

Hesitation Wound di Selman Nacar arriva dalla Turchia, ma il regista ha studiato cinema a New York e il film in parte è stato concepito proprio nella metropoli durante la pandemia. “Mentre stavo in isolamento – ha detto dopo la proiezione del film al MoMA – ho pensato alla difficoltà contraria, di dover stare in mezzo agli altri, in posti pubblici e dover prendere decisioni importanti senza potersi fermare a riflettere. La mia protagonista deve decidere se donare gli organi della madre in coma irreversibile, e insieme deve difendere un imputato dall’accusa di omicidio premeditato.” Il regista ha studiato legge e questo lo ha aiutato a districarsi nei meandri delle procedure giudiziarie, ha studiato all’estero e questo gli ha fornito un punto di vista esterno che applica alla protagonista che pure ha studiato altrove, viene criticata per questo, e si comporta in modo diverso rispetto a chi è rimasto. Interessante quadro dei dilemmi di una Turchia in cui tradizione e modernizzazione si scontrano senza riuscire a trovare una soluzione.

Uguale scontro fra rituali antichi e vita occidentale, fra chi è uscito dal paese per studiare o lavorare e poi vi torna, è Omen presentato in prima mondiale a Cannes e diretto da Baloji, rapper alla sua prima prova dietro la cinepresa. È la storia, in parte autobiografica, di un uomo che dal Belgio decide di tornare nella Repubblica Democratica del Congo per fare incontrare la moglie alla famiglia. Spera negli abbracci verso il figliol prodigo ma si ritrova di fronte un clan ostile, superstizioso, patriarcale.

Di tutto altro tipo A Good Place della tedesca Katharina Huber, che ha vinto il premio per la migliore regista emergente al Festival di Losanna. Due ragazze vivono in un villaggio sperduto e squallido in mezzo ad un bosco meraviglioso, mentre la radio annuncia l’avanzare di una crisi globale e l’attesa del lancio di un navicella spaziale che in qualche modo dovrebbe salvare l’umanità. Il tutto è piuttosto incomprensibile in un insieme di immagini giustapposte, senza consequenzialità, fra presagi di morte spruzzati ovunque nei dettagli di zampe di gallina o ossa rimaste da un pasto, uova rotte e una umanità spezzata. La regista ha scritto diretto e montato il film: uno sforzo notevole cui avrebbe sicuramente giovato il contributo e confronto con altri.