Statement Sleeves, al Museo del Fashion Institute of Technology di New York, celebra lo stile della manica, dettaglio – parte di un indumento – che nei secoli ha condizionato movenze, dettato tendenze e addirittura stabilito status, indicando ceti sociali. “Molti dei vestiti della collezione del Museo sono conservati appesi, proprio come quelli nei nostri armadi personali. Sono identificati non solo dal loro colore, ma anche dalle loro maniche”. Così recita il cartello del primo stand che accoglie alla mostra.

Aperta al pubblico fino al 24 agosto 2024 – con quasi 80 capi provenienti dalla collezione permanente del FIT – l’exhibit rappresenta un approccio originale nell’interpretare un capitolo di storia della moda: il potere delle maniche di definire un look a partire dal XVIII secolo fino ad oggi, negli esempi di stilisti contemporanei – da Schiaparelli a Stephen Burrows, da Valentino a Yves Saint Laurent e LaQuan Smith.
Che sia manica a sbuffo, arricciata o trasparente, il sinonimo di statement è quello di affermazione e proclama. Larga e “paffuta” – attraverso i secoli – da non permettere al braccio di toccare la nuca, la manica ha significato ricchezza e ceto sociale – vedi il regno di Enrico VIII. Una particolarità, quella della statement sleeve, che nell’ultimo decennio è ritornata in prima linea sulle passerelle nella misura in cui si definisce un capo – da volant a spezzato, da colorato a prezioso.
Pianificata da Colleen Hill – curatore del museo – l’esposizione non segue una linea cronologica, è, invece, organizzata per categoria. La prima lezione di storia esplica – attraverso una serie di abiti neri nell’insieme “Fundamental Forms” – gli stili più comuni di manica. Le forme vanno da quelle a campana e a trombetta, inclusa la bishop – dettaglio di un modello di Ossie Clark del 1970. Una giacca in seta – con enormi maniche a sbuffo che si assottigliano dal gomito – esemplifica, invece, lo stile a gamba di montone, detta anche à gigot (in auge durante il periodo romantico, 1815-35) – larga all’attaccatura (lascito della manica a palloncino dell’era imperiale) e ad imbuto verso il polso. Mentre una vestaglia da uomo degli anni ‘1920, in seta e velluto, presenta maniche ispirate al kimono.
“Opening Statements” esemplifica l’affezione – negli anni ’30 – per lavorazioni intricate e artificiose. Inoltre in pedana, un abito del 1980 di Madame Grès con maniche drappeggiate oversize è contrapposto ad un modello Spring 2022 di LaQuan Smith: l’opulenza e l’eccesso della moda degli anni ’80 espressi con maniche fuori misura in tessuti lussuosi, contro gli esempi di oggi, più giocosi.
Tra i modelli più suggestivi, un abito in seta con maniche origami (Autunno 2023) di John Galliano per Christian Dior Boutique. Ispirato da un viaggio tra la Cina e il Giappone, per il designer il capo è “una fusione di entrambe le culture…una fantasia”. Lo stile gigot in versione moderna per le maniche della giacca di un tailleur Schiaparelli rosso bordeaux e lurex, su base nera (Inverno 1935); lo stesso dettaglio si ripete su un bolero di un completo con pantalone rosso arancio, di Yves Saint Laurent, Rive Gauche (1992) – al tempo, una forte dichiarazione femminista.

Nella sezione “Tucks & Ruffles“, spicca un abito Thierry Mugler plissettato, in lamé color argento. Un look sofisticato e romantico, mix di texture e fluidità parte della collezione Spirale Futuriste Autunno/Inverno ’79. A proposito dello stile boxy delle maniche, la rivista T (The New York Times Style Magazine) definì la collezione una delle più visionarie della fine del XX secolo.
A seguire, la collezione “Embellishment and Adornment” include un abito Valentino di seta nera del 1999, capo impreziosito da paillette e perline con maniche ad aletta, affiancato ad un modello couture di James Galanos con polsini di strass colorati. Nel 1965, Marilyn Bender del New York Times annotava le creazioni di Galanos tra le più costose che la moda americana potesse offrire. Un suo golfino di lana oggi costerebbe cinquemila dollari. Tra gli esempi di design convenzionali resi eccezionali con l’aggiunta di una manica speciale, una giacca di jeans di Helmut Lang di fine anni ’90: i polsini con ampio risvolto sul braccio – diventati signature del designer – rendono sofisticato uno stile altrimenti classico.
La funzionalità e l’adattabilità della sleeve è esplorata nella sezione “Performance and Purpose”. In questo ambito la designer contemporanea Lucy Jones si concentra sul vestire adaptive, con la creazione di maniche appositamente sagomate e staccabili (2017) destinate a persone in sedia a rotelle e diversamente abili. Sulla piattaforma è presente anche l’indumento più antico della mostra, un corsetto del 1770 circa – in seta blu con maniche removibili.
L’exhibition chiude con i dettagli di “Asymmetrical and Mismatched”: una selezione di modelli particolarmente giocosi. Tra questi, un abito realizzato in tessuto jersey a righe in tre colorazioni di Stephen Burrows. Il designer – tra i precursori della moda degli Stati Uniti – includeva spesso le maniche a contrasto nelle sue creazioni.
In chiusura, Statement Sleeves celebra il più democratico tra i dettagli della moda – privo di genere – e mette in risalto la sua poliedricità, che gli permette di essere presente anche nei modi di dire – si può “avere un asso nella manica” ma bisogna anche “rimboccarsi le maniche”. Il resto, poi, è “un altro paio di maniche”!









