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I capolavori francesi del Brooklyn Museum in mostra a Padova

“Da Monet a Matisse, French moderns 1850-1950” fino al prossimo 12 maggio

Rossella DelaidinibyRossella Delaidini
I capolavori francesi del Brooklyn Museum in mostra a Padova
Time: 3 mins read

I capolavori del Brooklyn Museum di New York sono a Padova in “Da Monet a Matisse, French moderns 1850-1950”, nelle sale trecentesche del palazzo Zabarella di Padova fino al prossimo 12 maggio. La mostra racconta di uno dei secoli più affascinanti della storia dell’arte europea. Di quando gli artisti, incalzati anche dalle innovazioni promosse dalla Rivoluzione industriale, uscirono polemicamente allo scoperto per andare a dipingere “en plein air”, entrando in competizione con le nuove tecnologie della comunicazione. Cercando di superare la perfezione delle immagini fotografiche, infatti, cominciarono a trasfigurare la realtà dal punto di vista formale e concettuale. Dalle molteplicità del realtà, in altre parole, si potevano ricavare delle “impressioni” o percepire degli stimoli per “dare espressione” ad una realtà ulteriore, “outre” la definivano i poeti maledetti. Dall’impressionismo all’astrattismo inaugurando la pittura contemporanea.

Una rivoluzione fatta di sperimentazioni, fallimenti, di rischi e inaspettati successi. Già negli anni Venti del Novecento, il Brooklyn Museum di New York aveva fatto “importanti e audaci acquisti di opere d’arte francese” e stava pensando di riqualificarsi come esclusivo museo d’arte, proprio grazie alla presenza di opere impressioniste e delle avanguardie successive, mentre a Parigi, la giuria dell’Esposizione Universale aveva rifiutato dei dipinti di Courbet (che si affittò uno spazio privato per esporre le sue opere).

Le 59 opere di 45 maestri europei presenti a Padova, provenendo tutte da donazioni di mecenati privati (solo 2 sono anonime), raccontano come si sia sviluppato tra gli americani il gusto per l’arte moderna, la sensibilità e soprattutto l’intuizione estetica di alcuni collezionisti di fronte alle nuove peculiarità dell’arte europea, in particolare francese. Grazie alla rivoluzione artistica operata dalla modernità, alcune delle distanze che separavano la “vecchia Europa” dal “Nuovo mondo” che così importante sarebbe poi divenuto per l’estetica mondiale, si assottigliarono.

Le opere contenute nella sezione “Nature morte” si focalizzano tutte sulla messa a fuoco dei particolari quasi a voler trascendere la mera esperienza fisica, come nella Natura morta con tazza blu di Renoir e gli splendidi Fiori di Matisse, presente come esponente del movimento dei Fauves alla prima esposizione americana di arte moderna all’Armony Show di New York nel 1913.

L’Accademia francese fin dal XVII secolo aveva riservato un posto marginale al “Paesaggio”, ma con gli impressionisti, gli scorci panoramici diventano metafore di intuizioni suggestive come quella che si può cogliere ammirando la Ville d’Avray di Corot del 1865. Vi è raffigurato uno scorcio di natura delicato, con alberi fitti di foglie leggere come piume che circondano un lago di acqua d’argento. Ammirandolo, ci si immerge in un’atmosfera sognante, che prelude alla dirompente forza visionaria sprigionata dalla vista del Palazzo del Parlamento di Claude Monet del 1903, un’opera unica che vale il viaggio in Italia. Ogni piccolo movimento, ogni variazione dello sguardo rinnova e anzi aumenta il piacere della vista. Sfido qualunque fautore della teoria sulla riproducibilità artistica a dimostrare che quest’opera replicata possa trasmettere la stessa emozione.

Dice la nota: “All’inizio del XX secolo, Monet fece tre viaggi a Londra e rimase affascinato dagli effetti visivi creati dal denso smog della città. Dal suo punto di osservazione sul balcone del Saint Thomas’ Hospital, Monet dipinse diciannove versioni del suo soggetto sulla riva opposta del Tamigi, il Palazzo del Parlamento, in diverse condizioni atmosferiche e di luce. In questa tela, l’artista minimizza i dettagli architettonici dell’edificio, per rendere invece con pennellate di colore sciolte e sovrapposte l’acqua scintillante e la luce del sole che penetra attraverso la foschia”.

Riguardo la terza sezione, intitolata: “Nudo”, va ribadito che nell’Ottocento i criteri per la pittura e la scultura erano gli stessi del mondo classico, complici le scoperte archeologiche del Winkelmann; i corpi contemporanei, probabilmente poiché non divini, non erano ritenuti degni di essere immortalati. Contro la maggioranza degli artisti conservatori, si annovera il poeta Charles Baudelaire, spalleggiato da pittori che ritraevano la nudità dei loro modelli con assoluto realismo arrivando, nel XX secolo, a veicolare attraverso il corpo nudo le mutevoli prospettive dell’astrazione: la scultura di Rodin L’età del bronzo, il capolavoro di Degas Donna nuda che si asciuga e I subacquei policromi di Leger, dalle avvincenti suggestioni cubiste.

L’ultima sezione, “Ritratti e figure”, documenta l’avvento, alla metà del XIX secolo, della moda pret-à-porter, per cui gli artisti cominciano a ritrarre con colori audaci i vestiti alla moda e chi li indossa. L’avanguardia si chiama Belle Epoque, ed è, all’apparenza, l’epoca dei salotti nobili, delle donne eccentriche e fatali che indossano abiti dai tessuti scintillanti, mettendo in mostra gioielli preziosi come dimostra Giovanni Boldini con il suo Ritratto di signora. Ma è anche la stessa età che nasconde una realtà crepuscolare di buoni sentimenti e di memorie, evidenziati da dipinti come il Pastore che si prende cura del suo gregge di Francois Millet o il Musicista con cui Chagall trascrive il ricordo dei suoi primi anni di vita.

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Rossella Delaidini

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