“Si può solo immaginare il terrore che i sopravvissuti hanno dovuto affrontare durante l’attacco di Hamas”, dice Yossi Bloch, co-direttore del documentario Supernova: Il massacro del festival musicale.
Quella che doveva essere una celebrazione pacifica dell’amore, della natura e della dance elettronica si è trasformata in un inferno in Terra il 7 ottobre 2023. Due settimane dopo la carneficina, i registi israeliani Duki Dror and Yossi Bloch hanno iniziato a lavorare al film con una missione chiara: raccontare al mondo il massacro da chi ha vissuto quei momenti di puro terrore.
In appena un’ora, Supernova: Il massacro del festival musicale, presentato in anteprima a New York grazie al Chelsea Film Festival, racconta i tragici eventi dello “Shabbat nero”. Un montaggio in un’unica sequenza temporale che unisce i video girati dai miliziani di Hamas per vantarsi delle proprie imprese, quelli delle vittime che hanno catturato gli ultimi istanti della loro vita, e dei sopravvissuti che non ci hanno pensato troppo e hanno semplicemente iniziato a registrare.

Le prime immagini mostrano un clima di festa interrotto dal suono dell’allarme aereo con i missili che arrivano da Gaza. “Non c’è nulla di cui preoccuparsi, qui è un evento abbastanza frequente considerando la zona in cui siamo,” si sente dire da un giovane ai suoi amici.
Da questo momento in poi, le riprese catturano una scena caotica: i partecipanti al festival si lanciano nelle proprie auto per scappare, ma ad attenderli ci sono jeep e mezzi fuoristrada pieni di uomini armati che sparano. Sentiamo voci tremanti che si chiedono se l’uomo armato davanti a loro sia un poliziotto o un terrorista. Un proiettile colpisce il parabrezza, lo frantuma ed elimina ogni dubbio.
Riprese in tempo reale di chi tenta di rifugiarsi tra gli aranceti per sottrarsi ai terroristi che battono albero dopo albero. Tanti fingono di essere morti fra le molte altre persone già uccise che li coprono in parte, mentre altri mandano messaggi di addio. I video sono pieni di orrore: urla, pianti, ferite, sparatorie, sangue, e altro ancora.
Insieme ai video anche le testimonianze di alcuni sopravvissuti al massacro. Michal Ohana, una veterinaria di 27 anni, racconta alla telecamera di essersi nascosta sotto un carro armato, mentre accanto a lei persone venivano colpite e morivano sotto i suoi occhi. Ilan Regev, padre di due ostaggi ora liberati, Maya e Itay, riproduce il video in cui sua figlia con espressione terrorizzata cerca scampo in un’automobile. Nell’audio la si sente gridare che le hanno sparato, che sta morendo. Chiede al padre di andarla ad aiutare.
Le immagini non risparmiano allo spettatore la vista di corpi straziati e arti mozzati. Spiegano i registi: “Per quanto dolorose siano e per quanto di solito evitiamo di mostrare scene cruente in un documentario, in questo caso pensiamo che siano cruciali. Aiutano a capire che ciò che è successo non è un evento normale, e che non possiamo trattarlo come un evento normale.”
A fine proiezione alcuni superstiti all’assalto ricordano al pubblico i dettagli di quell’orrore. Natalie Sanandaji dice, “è una forma di terapia parlare di quel giorno per me”. Ebrea americana di New York, Natalie si è salvata rifugiandosi in un bagno mobile. “Non mi sono resa conto della gravità della situazione fino a quando non ha sentito i terroristi che spalancavano le porte dei bagni e sparavano ad altezza uomo. Mi sono stesa sul pavimento lurido sperando che non entrassero. Sono salva per miracolo ma essere stata circondata da tante persone che piangevano e chiamavano i loro genitori per dare l’ultimo saluto perché erano sicuri di non farcela, e molti di loro non ce l’hanno fatta, ha cambiato la mia percezione della vita stessa”.
Tra gli ospiti dell’incontro anche Ellie Beer, fondatore di United Hatzalah, un’organizzazione di volontari con più di 7.000 membri in Israele, pronti a rispondere a ogni tipo di emergenza medica. “Tra coloro che si sono catapultati nella zona devastata dagli attacchi di Hamas, abbiamo avuto due volontari uccisi, un altro rapito e diversi feriti”. Uno di loro, un paramedico arabo-israeliano di 27 anni di Nazareth, Awad Mosa Darawshy, è stato giustiziato dai terroristi dopo essersi rifiutato di abbandonare senza cure una donna ebrea ferita. “I soccorritori non sono riusciti nemmeno a riconoscere il corpo di Darawshy a causa delle torture subite dai terroristi”, ha aggiunto.
Il giorno dell’assalto via terra di Hamas sono state uccise circa 1.400 persone e oltre 200 sono state prese in ostaggio e portate a Gaza. È la miccia che ha riacceso il conflitto: Israele ha dichiarato guerra contro l’organizzazione politico-militare palestinese con una serie di bombardamenti seguiti da un’offensiva via terra nella Striscia di Gaza che ha provocato già la morte di decine di migliaia di persone.
“Il mondo ora è arrabbiato con noi”, ammette Beer, ” Ci attribuiscono la colpa della Seconda guerra mondiale, l’antisemitismo attraversa sia l’ovest che l’est del mondo, accomuna il suprematismo bianco e l’islamismo jihadista, ma è importante condividere le testimonianze e le storie orribili dei sopravvissuti per mantenere viva la memoria delle vite perse e combattere la propaganda. Perché”, hanno più volte ribadito Duki Dror e Yossi Bloch, “non è possibile giustificare una strage di innocenti, di giovani con dei sogni. Nessuna di quelle persone voleva la guerra. È disumano”.