Camminando per le strade di New York, e a dirla tutta della maggior parte delle città moderne, capita di imbattersi in enormi murali. La maggioranza dei quali sono opere d’arte di talenti assoldati da privati o dalla stessa città. Così, chiunque abbia percorso Lafayette St. in direzione sud, alzando il naso in prossimità di Prince Street (nel quartiere Soho) si sarà trovato al cospetto di una gigantesca immagine, un cartellone pubblicitario di Gucci, anzi, un murale. Su una parete di 230 metri quadrati circa, infatti, è impressa una “tela” eseguita con un tratto preciso al punto da sembrare una foto.


Tra i molteplici esempi di arte di questo genere una buona parte appartiene ad un’unica società, la Colossal Media. Un’agenzia con sede a Brooklyn che ha rivoluzionato il settore pubblicitario fondendo marketing e arte in accattivanti réclame dipinte a mano sui muri di Chicago, Boston, Los Angeles, San Francisco e naturalmente New York City. Con un’agenda fitta di commissioni, dalla Coca-cola alla Peroni, da Laboutin a Gucci, ma anche sponsorizzazioni per cause socialmente utili, Colossal Media traduce le promozioni dei marchi attraverso la tecnica fotorealista e oggi, con oltre 500 murali all’anno e più di 50mila galloni di vernice, non sembra avere rivali.
Nata a Brooklyn 20 anni fa la società è partita dal desiderio di due amici – Paul Lindahl e Adrian Moeller – di riportare in vita l’arte dei famigerati “walldogs” – che con fune e pennello dipingevano giganteschi billbord sulle pareti degli edifici commerciali di New York City nei primi decenni dell’Ottocento. Con prezzi che variano da 35mila a 150 mila dollari al mese per ogni ad, immaginiamo che il valore di Colossal Media non possa essere solo di mercato.
Lo aveva intuito Alessandro Michele. L’ex creative designer di Gucci, in cerca di un modo alternativo per far sentire la presenza del brand durante la settimana della moda di New York di febbraio 2017, scovò Colossal Media. In soli sei giorni, da uno sketch dell’artista californiana Jayde Fish venne realizzato The Hermit(L’Eremita) – un murale raffigurante una donna in viaggio verso il cielo che attraverso un telescopio guarda l’ignoto. L’anno prima, il designer del brand fiorentino aveva scoperto la Fish, illustratrice di San Francisco, su Instagram. Innamorato dei suoi lavori, volle inserirli nelle stampe della collezione donna per la primavera 2017, e sul muro di un palazzo di Soho.

Da quel primo billboard è cambiato il direttore creativo di Gucci – ora c’è Sabato De Sarno – ma grazie ad Instagram la collaborazione tra Colossal e il brand italiano riimane salda. Lo dimostrano i nasi in alto di passaggio su Lafayette Street: l’hashtag #Gucciartswall gode di milioni di condivisioni, si può dire il maggior successo del progetto. A New York è seguita Milano, e oggi è possibile ammirare la fashion street art di Gucci in molte città, anche in Asia. Marketing-arte-moda, trio perfetto.
È così da sei anni. Ad ogni cambio stagione, ma non solo, una rinnovata “tela urbana” di Gucci. A giugno del 2020 apparve anche Jane Fonda: una gigantografia in cui l’attrice- scelta per l’impegno di attivista pro clima – indossava un paio di bell pants alla caviglia, giacca-camicia, sneakers e in primo piano una tote bag giallo ocra nella mano sinistra. L’ad annunciava, infatti, la linea eco-sostenibile del marchio, Gucci Circular Lines. Realizzare la collezione utilizzando materiali riciclabili e organici, pensando alla salvaguardia del pianeta.

Dalle illustrazioni, alle immagini del profumo Flora, fino agli statement delle campagne dell’era De Sarno. L’ultima in ordine di tempo “recita”: – “Ogni tanto, lo so, sogni anche tu, e sogni di noi” – da una citazione/immagine del giovanissimo fotografo e artista Valerio Eliogabalo Torrisi. Questo il nuovo disegno comparso sul muro di Soho, l’annuncio della collezione maschile Autunno 2024 di De Sarno sfilata recentemente a Milano.
La Colossal Media ha ripristinato il lavoro dei walldog, dunque. Nonostante fossero delle vere opere di pittura, il lavoro dei pubblicitari con il pennello non fu mai considerato arte. Ancora oggi alcune centinaia di questi, sbiaditi e in buona parte cancellati dal tempo, sono visibili sui muri di antichi palazzi e di vecchie warehouse di New York. Verso la metà del Novento i walldog iniziarono a diminuire, sostituiti prevalentemente dalle prime insegne elettriche e in seguito minati dall’Highways Beautification Act del 1965, che ne segnò la fine. L’introduzione del banner in plastica, veloce, con colori migliori e persistenti, assestò il colpo finale.
Fino all’arrivo di Colossal Media che con l’antico pennello misto a tecnica moderna ha dato nuovo splendore all’arte dei walldog newyorchesi. Sotto sole, pioggia o clima polare un esercito di pittori produce murali su larga scala con un livello di efficienza e precisione tali da sembrare foto. La tecnica è quella iperrealista, appunto.
Dallo sketch si passa alla stampa su grandi fogli di carta, poi allineati sulle pareti dello studio di Brooklyn e sui quali – con la tecnica della bruciatura – si realizzano micro fori lungo le linee dell’immagine. Sarà un sacchetto di ematite a trasferire l’intero disegno sulle pareti. Il resto è unicamente opera d’artista.


