C’erano le Città invisibili di Calvino, e ci sono le Città visibili, collana di Orizzonti Geopolitici che ci porta nei luoghi del cuore degli autori attraverso le loro trasformazioni storiche e ideologiche. Così Eric Salerno, grande giornalista, esperto mediorientale, ci porta nella Gerusalemme dove ha anche vissuto “tre decadi per cercare di capirla e raccontarla”.
Chi arriva a Gerusalemme la sente, la cappa della spiritualità. Ma è vera o fittizia? Non c’è luogo al mondo – almeno per gli occidentali – più simbolico non solo delle fedi monoteiste ma del conflitto che in quel fazzoletto di terra incendia e uccide. Gerusalemme di Salerno è stato scritto poco prima dell’attuale, devastante guerra a Gaza; oggi è un manuale per capire, un inno alla città vera, un racconto delle molte Gerusalemme che si stratificano nell’immaginario, e del luogo che rappresenta l’evoluzione, o l’involuzione, di Israele lungo i decenni. “La durata, intere generazioni, del conflitto israelo-palestinese nasconde le dimensioni lillipuziane del territorio su cui si svolge”.

La storia: i romani, il tempio di Salomone, l’archeologia che da decenni cerca di ricostruire una città più legata alle leggende che alla realtà. Un chilometro quadrato appena, quello della Città Vecchia, diviso in confessioni religiose grazie, pensate un po’, al “feroce Saladino”, sovrano illuminato che strappò Gerusalemme ai Crociati: “tra il 1100 e il 1186 la città divenne la capitale del regno latino d’Oriente e vi furono costruite in abbondanza, ancora in gran parte visibili, chiese, monasteri e conventi”. Fu Saladino, sultano ed emiro di Damasco ed Aleppo, a “purificare i luoghi santi musulmani per riconsegnarli all’Islam, a lasciare il Santo Sepolcro ai cristiani e rendere agli ebrei le loro sinagoghe”.

C’è fin troppo da raccontare, a Gerusalemme, dove storia e politica e dominazione (anche coloniale) si intrecciano nei millenni. I luoghi sacri e non, i quartieri cresciuti nell’ultimo secolo sempre nella pietra bianca prescritta dal protettorato britannico, l’architettura moderna. E ancora, dove la storia si fonde con la politica, i villaggi palestinesi svuotati (come Lifta) o distrutti, i crimini di guerra: la strage compiuta dai giordani che nel conflitto 1947-48 “rasero al suolo il quartiere ebraico della città vecchia… e per la prima volta in mille anni svanì la presenza ebraica all’interno delle mura”. E il secondo crimine, quando nel 1967 l’esercito israeliano sfondò le difese giordane e occupò tutta la città: ma per accedere al muro del Pianto dovettero passare per Mughrabi, il quartiere marocchino che “da sette secoli fiancheggiava il muro di contenimento sopra il quale, migliaia di anni prima, si innalzava il tempio ebraico. Due giorni più tardi arrivarono le ruspe e con poche ore di preavviso gli abitanti… furono cacciati, le loro case demolite”.
E ancora, i luoghi dove si convive nonostante tutto; eppure, l’avanzata israeliana che continua a costruire insediamenti tutto attorno alla città. Questo libro è una fusione di informazioni, malinconia, amore e geopolitica. Si parla dei quartieri ortodossi, delle costruzioni moderne e contestate. Il capitolo “I testimoni” è un romanzo corale di tante voci che ci raccontano la città dal vivo. A Gerusalemme “si abita con il nemico”, racconta l’accorata storia dell’avvocato Elias Khoury, arabo israeliano, che dopo tanti lutti ha perso anche il figlio George, giovane universitario ammazzato “per sbaglio” da una sigla della resistenza palestinese, perchè stava facendo jogging coi vestiti di marca.
Soprattutto, Gerusalemme è il fulcro di tutte le contraddizioni del conflitto arabo-israeliano. Salerno cita Steve Rosen, preside della Divisione di studi biblici e del Vicino Oriente all’Università Ben Gurion a Beersheva, nel Negev: “Tutti si impegnano nell’interpretazione archeologica e i risultati sono quasi sempre una totale sciocchezza. L’uso semplicistico e acritico dell’archeologia, una disciplina complessa, per giustificare ideologie politiche, prende in giro l’intero settore”. B’tselem, il centro israeliano per i diritti umani nei territori occupati, analizza nelle sue denunce “gli strumenti scientifici usati per consolidare l’occupazione di Gerusalemme est e la riduzione sistematica della popolazione palestinese”.
E questo è il punto, anche in questi mesi dove tanto si è discusso, in buona o malafede, se la richiesta di uno Stato palestinese abbia fondamento storico (come se il concetto di Stato poi non fosse un’idea moderna occidentale ma fosse nato un millennio fa). “Non c’è un solo luogo costruito in questo paese che non abbia avuto prima una popolazione araba”: la citazione è da Moshe Dayan, generale eroe della guerra del 1967. Sulla città del futuro si sono esercitati archistar, politici come Bill Clinton, industriali e amministratori. Snaturata? Interamente israeliana? Un’altra citazione, anzi un atto d’accusa contro il sistema, da Teddy Kollek, storico sindaco per 28 anni: “Gli arabi erano e rimangono cittadini di seconda anzi di terza classe. Per gli ebrei di Gerusalemme negli ultimi 25 anni ho fatto moltissime cose. Cosa ho fatto per gli arabi di Gerusalemme est? Niente! Marciapiedi? Nessuno. Centri culturali? Nessuno…”
L’occupazione progressiva del territorio non è solo atto politico ma culturale: a perdersi è anche il cosmopolitismo millenario di questa città travagliata. Salerno vuole finire su una nota diversa però, che ci ricorda che siamo tutti di passaggio. “Gli ebrei hanno atteso duemila anni, abbiamo tempo anche noi”: sono “le parole di un notabile palestinese, rassegnato, fatalista, che ascoltai non molti anni fa, sorbendo un caffè arabo mazboot“.