A pochi giorni dal compiere 18 anni, Lala si trova sola in una casa occupata con il suo bambino di sei mesi. Priva di identità e documenti, la giovane donna è al centro di una storia che evidenzia la complessità della vita dei rom e sinti in Italia, una realtà spesso misconosciuta e distorta dai pregiudizi. La sua lotta per mantenere suo figlio diventa un potente spunto di riflessione sociale e antropologica sulla ricerca di appartenenza in una città che oscilla tra la legalità e l’illegalità. Ma ci parla anche dei giovani nati in Italia da genitori stranieri che non hanno diritti fino al compimento del 18mo anno di età e a volte nemmeno dopo.
Il film di Ludovica Fales, vincitore del premio Mymovies e selezionato in concorso alla 41esima edizione del Bellaria Film Festival e al 35esimo Trieste Film Festival, rappresenta un’opera prima straordinaria che sfida le convenzioni sia nella forma che nel contenuto. La trama si basa interamente sulla rappresentazione “teatrale” della vita, coinvolgendo gli spettatori in un delicato gioco di identificazione e distacco, raggiungendo l’apice drammaturgico con la madre e il figlio sospesi in una tensione palpabile.

La voce fuori campo della regista, in un momento cruciale, interrompe l’azione e si rivolge a Samanta Paunković, l’attrice non professionista che interpreta il ruolo principale, esplorando le emozioni e le reazioni personali di fronte a scene sovrapposte a esperienze reali. Da questo momento, abbattuto definitivamente l’”ostacolo immaginario”, lo spettatore ribalta il proprio giudizio sulla rappresentazione messa in scena da attori non professionisti e sposta la sua attenzione alla narrazione dei personaggi che, navigando tra realtà e finzione, conducono verso una verità composta e mescolata di voci appartenenti a giovani immigrati di seconda generazione.
Lala alterna testimonianze a drammatizzazioni, con Zaga Jovanovic, la ragazza dalla cui vicenda è nato tutto il progetto del film. Zaga, nata e cresciuta in Italia, in un campo rom, dopo aver compreso che la sua pratica per ottenere la cittadinanza italiana non sarebbe andata a buon fine è partita clandestinamente per la Serbia, dove ha ottenuto il passaporto serbo, per poi tornare in Italia e chiedere il permesso di soggiorno. Un’attesa che delinea il confine dell’appartenenza nazionale e di genere.

Fales smonta la narrazione univoca dei media, che spesso criminalizza la comunità rom senza considerarne la diversità culturale. I rom e i sinti in Italia, secondo i dati del 2019, rappresentano solo lo 0,25% della popolazione, smentendo l’idea di una presenza massiccia.
Oltre alle vittorie al Bellaria Film Festival e al Trieste Film Festival, il documentario ha ricevuto una menzione speciale all’Ortigia Film Festival ed è ora in selezione ufficiale ai Nastri d’Argento.
Documentari per la sezione Cinema del Reale. La colonna sonora, con “Il Mio Nome è Lala” degli Assalti Frontali, aggiunge un tocco simbolico alla potente narrazione del film.
Ludovica Fales, ispirata dalla sua formazione accademica presso la National Film and Television School di Londra e dal cinema antropologico di Augusto Boal, parla di un desiderio di identità tesa a trovare un equilibrio fra le origini e il futuro.
La regista, affiancata da un team quasi esclusivamente femminile, ha pazientemente costruito l’opera su tre piani temporali distinti. Dai materiali di archivio di dieci anni fa, attraverso le sfide quotidiane vissute nella periferia romana, fino ad approdare ai tre anni di riprese che documentano le prove di laboratorio teatrale. Quest’ultimo aspetto coinvolge un cast molto giovane, rappresentando una nuova generazione di cittadini senza diritti, documenti e, talvolta, cittadinanza.
Un universo, quello delle seconde/nuove generazioni, eterogeneo, variegato e che esprime una grande voglia di essere protagonisti, cittadini attivi e partecipi della società in cui sono cresciuti e vivono. Nel contesto di una complessa koiné ibridata, dove le identità nazionali si fondono in modi unici, il documentario è una sorta di lavoro politico e sociale che si inserisce nel dibattito ormai vecchio di decenni per una legge sullo ius soli per il quale chi nasce e cresce in Italia abbia diritto alla cittadinanza, indipendentemente dalla provenienza dei genitori – come è la prassi negli Stati Uniti.
In Francia, il Consiglio Costituzionale ha da poco smontato una legge passata coi voti e gli emendamenti dell’estrema destra, che cancellava proprio il diritto allo ius soli. Oltralpe, chi nasce anche da genitori stranieri e vive in Francia continuerò a diventare automaticamente cittadino a 18 anni; a 16 se ne fa richiesta prima, e a 13 in particolari circostanze.