“Siamo nel 2024, era ora che una donna desse forma a una storia nella galassia lontana lontana” ha detto alla CNN Sharmeen Obaid-Chinoy. E infatti il prossimo film dell’universo Guerre Stellari è nelle sue mani, non solo prima donna ma prima persona di colore a dirigere una pellicola del celebre universo sci-fi nato – ormai nel lontano 1977 – dalla fantasia di George Lucas; è al timone del terzo episodio della nuova trilogia (gli altri due sono diretti da James Mangold e Dave Filoni). Lei è una regista pachistana-canadese, ma la sua scelta provoca sempre più le ire dei conservatori appassionati della serie.
Forse conoscete a memoria tutti gli episodi di Star Wars come i nerd di Big Bang Theory, forse avete visto solo il primo episodio, ma certamente qualcosa sappiamo tutti della saga, da Luke Skywalker a Han Solo/Harrison Ford, Darth Vader, gli Jedi, i complicati rapporti padre/figlio e le luminose spade laser.
Sharmeen Obaid-Chinoy non è una sconosciuta: ha vinto due Oscar – nel 2012 e nel 2016 – per il miglior cortometraggio dell’anno, e un Emmy nel 2010; è nota infatti come regista di documentari femministi; ha anche diretto nel 2022 due episodi della celebrata serie The Marvelous Ms Maisel. Ma il nuovo Star Wars, uscita prevista 2026, adesso fa paura agli opinionisti di destra: cosa potrà infilarci dentro una regista, pachistana d’origine, fin qui impegnata a descrivere i guai delle donne coi talebani? Aggiungiamo che la pellicola, ancora senza titolo, vedrà di nuovo protagonista Daisy Ridley, già Rey Skywalker nella trilogia sequel del principale Star Wars (sì, è complicato). “Creeremo qualcosa di molto speciale”, ha assicurato la regista.
Gli anti-woke reagiscono: “La Disney cede il franchise di Star Wars per 67 miliardi di dollari a un’attivista femminista pachistana”, e accusano la casa produttrice di aver rovinato Guerre stellari. Per esempio Benny Johnson (già BuzzFeed, poi licenziato per plagio di parecchi articoli, ora YouTuber che su Instagram si descrive come ‘Love Family, God, America”) assicura che il film sarà “il più grosso flop della storia della Disney”.
“È come se gli piacesse perder soldi” rincara Libs, account conservatore di TikTok. Altro conservatore, altro giro: Ben Shapiro attacca Kathleen Kennedy, presidente della LucasFilm (dal 2012 parte dell’impero Disney) definendola “la peggiore imprenditore di entertainment della mia vita”.
Kennedy, rileva la testata Forbes, ha già subito vari attacchi per il tentativo di inserire contenuti più inclusivi nei prodotti Disney (incluso il cartoon South Park). Hollywood Reporter però osserva che la nuova tendenza ‘woke’ di Disney in generale non è attribuibile solo a lei, che non governa l’intero gruppo.
È indubbio che i temi femminili se non femministi vanno di moda, cioè fanno cool e trendy, e li vediamo un po’ ovunque (insieme all’abitudine di inserire, per inclusività, una quota di minoranze etniche e di genere in quasi qualunque prodotto). Molte femministe infatti parlano di pink washing, come a dire che certe aziende si occupano di punti di vista al femminile solo per convenienza, e non per cambiare davvero un mondo ancora governato dagli uomini.
Nell’anno di Barbie, comunque (e in Italia di C’è ancora domani, fenomeno femminista da botteghino di Paola Cortellesi) non stupisce né la designazione di Obaid-Chinoy, né le reazioni furiose che provoca. Il resto, alla prova dei fatti, inclusi gli incassi al botteghino.