Un concerto nel concerto: sono i nove bis che Juan Diego Flórez ha regalato al pubblico entusiasta della Scala per concludere il suo recital lunedì 18 dicembre. La serata del tenore peruviano – lontano dalla pompa dell’inaugurazione di stagione dieci giorni fa – riporta il Piermarini alla funzione essenziale di intrattenimento dei melomani, in questo caso molti sudamericani venuti ad acclamare il loro beniamino.
Accompagnato dal suo pianista prediletto Vincenzo Scalera, Flórez comincia con la voce un po’ fredda, si scalda man mano che procede – e il pubblico con lui – in un programma impegnativo che passa per Scarlatti, Haendel, il Don Giovanni (entrambe le arie di Ottavio) e Rossini – inclusa l’aria dell’Ermione, opera che, da direttore artistico del festival di Pesaro, riporterà al Rof dopo molti anni di assenza la prossima estate.

Significativo però che i primi applausi entusiasti arrivino dopo l’intervallo con tre romanze di Tosti. La cifra primaria dell’artista Flórez resta infatti quella del tenore di grazia; tecnica impeccabile per agilità e controllo dell’emissione, tanto da consentirgli di affrontare anche quei ruoli più impegnativi che ha cominciato a interpretare da quando la voce si è scurita un poco; timbro bellissimo – e però non sufficientemente squillante per certi ruoli eroici, dato il suo scarso volume. In sala con il pianoforte la voce corre, mentre nella Lucia di Lammermoor vista sempre qui alla Scala in primavera, invece, pur corretta, un po’ sbiadiva.
Detto questo, una serata magnifica: da Tosti a Massenet a Donizetti fino a Verdi con Luisa Miller (“Quando le sere al placido”) e un pubblico sempre più caloroso che pregusta già i bis. Sarà un banchetto superiore alle aspettative: comincia con “Core ‘ngrato” (il napoletano di Flórez dà punti a molti cantanti italiani), torna sul palco per il consueto spettacolo con la chitarra e tre canzoni sudamericane (fra cui “José Antonio” di Chabuca Grande per la gioia dei peruviani in sala), poi si esibisce nell’aria dei nove Do sopracuti dalla Fille du régiment di Donizetti, mostra tutte le sfumature della sua tecnica con il lirismo di Gounod (Romeo e Giulietta, “Ah, léve toi soleil”), si concede una zarzuela amatissima da Placido Domingo, “No puede ser”, regala la perla più bella con una meditativa, intima “Furtiva lagrima” (Nemorino ne L’elisir d’amore è proprio la sua parte), e conclude con “La donna è mobile”, interrompendosi subito prima del finale per augurare buon Natale e felice 2024 a tutti: a segnalare che dopo l’acuto, si va davvero a casa.