Crocicchi nella notte / illuminati / da colori intermittenti / in questo via vai / di fugaci sentimenti. Il cartello è attaccato sull’asta di un segnale stradale, tra la via San Felice e via Monaldo Calari, a ridosso del viale di circonvallazione di Bologna. Non è firmato, ma nell’angolo basso del foglio c’è la sigla SV, che sta per StendiVersomio: un simbolo della poesia di strada. “Quanta strada nei miei sandali”. Dopo la Porta medievale che sta di fronte, riprende a dipanarsi gloriosa la via Emilia. Un lungo luogo del cuore. “L’Emilia è un’unica grande città dove la gente dorme a Modena, lavora a Bologna e va a ballare a Rimini”, scriveva Pier Vittorio Tondelli. “Da Parma a Bologna, la via Emilia ha una certa poesia, fino a quando il sole si accontenta di fare sbadigli rossastri dietro la linea d’orizzonte”, raccontava nel ’41 Giovanni Guareschi che su quella strada consolare c’era nato. Tutti d’accordo. Qui siamo in una terra di poeti, più che di santi e navigatori, su su fino alla Piacenza di Marco Bellocchio. Carducci è poeta, Pascoli è poeta, Pasolini liceale e universitario sotto le Due Torri è poeta, Francesco Guccini e Dalla sono poeti, Roberto Roversi è poeta, Luciano Serra è poeta, Attilio Bertolucci è poeta, i fotografi Luigi Ghirri e Nino Migliori sono poeti del quotidiano.
In maniera analoga si sentono poeti quelli che oggi riportano la poesia nel cuore urbano pulsante, sottraendola agli scaffali perché torni a parlare alla gente. A guardarla negli occhi. A comunicare emozioni e sentimenti triturati nell’ossessione social. Voci basse, pause, silenzi, flash: pensieri fiammeggianti scritti sui muri come alternativa al fragore confuso del nulla.
Attenzione però, non c’è un’esclusiva geografica in tutto questo. E’ un boom che si espande da Nord a Sud, da Milano a Palermo passando per Roma e Napoli. I suoi interpreti hanno diversa estrazione. Andrea Masiero, nome d’arte Ma Rea, è uno che da sempre lascia poesie negli angoli delle città: “Dobbiamo restituire la dimensione poetica agli oggetti e alle azioni di tutti i giorni”, dice. Ivan Tresoldi, pseudonimo Ivan il poeta, è un artista popolare che da vent’anni con i suoi componimenti – “le mie scaglie”, li chiama – arricchisce le vie di Milano. I testi sono folgoranti: Ci sono vite che capitano / e vite da capitano oppure Una pagina bianca / è una poesia nascosta. Quest’ultimo concetto gli è costato una multa di 500 euro per aver imbrattato un bene pubblico. Il paradosso è che il danneggiato è la stessa amministrazione sua committente quando c’è da ingentilire un quartiere periferico. Incerti del mestiere, lui non si è scoraggiato: “L’obiettivo è rompere il confine elitario della poesia rendendola fruibile alle persone comuni”, sottolinea. La partecipazione diretta del pubblico è fondamentale: compone alla luce del sole, cercando un confronto immediato sui suoi versi. “Non esiste poesia scritta senza qualcuno che la legga, poeta di strada è tanto chi scrive che chi legge. Io prendo le parole e le metto al servizio di chi vuol farle proprie”.
Poesia, poesia, sembra che non ci sia, poi l’incontri per caso. Il problema è che non siamo più abituati a vederla, presi come siamo da una fretta nevrotica generalizzata. “I versi erranti sono uno squarcio nel tempo che scappa via. Vogliono parlarti e sono disposti ad apparire ovunque pur di arrivare a te. Confidano nella tua curiosità”, è la tesi dello street poet. Il passante si ferma, l’occhio registra e la testa riflette. Il fenomeno contagia moltissimi giovani in tante parti del mondo. Muri, le serrande abbassate delle edicole, edifici dismessi: ogni posto è buono per installare una comunicazione ibrida minimale, che punta a coinvolgere l’altro e regalare un po’ di bellezza alle strade. È quel che fa l’udinese di origine siciliana Mathias PdS, ovvero Poeta della Sera: Noi, ultimi romantici / poeti come treni / dispersi sui binari. Sono emozioni distillate in pochi versi incisivi, perché il segnale deve arrivare subito.
“È una forma d’espressione antichissima, presente già nelle civiltà greca e romana. I muri di Pompei ne sono una prova”, chiarisce il filosofo e pedagogista Duccio Demetrio, fondatore dell’Accademia del silenzio e della Libera università dell’autobiografia di Anghiari. Prosegue: “Questi versi veloci, eccentrici, mostrano la volontà di lasciare una traccia. Manifestazioni dell’istinto, li definirebbe uno psicanalista. In fondo si tratta di segnali del telegrafo trasmessi in forma lirica, dal contenuto intimistico: interessanti e caratteristici della letteratura giovanile”. Piccoli poeti crescono? “Studio da quarant’anni – spiega Demetrio – i notes, i diari, le agende scolastiche dei ragazzi e le scritte sui muri che ne costituiscono l’estensione. Si sente l’amore per la poesia e per i poeti, il loro faro è Alda Merini. Mi piace la forma timida, mai ostentata, di questi epigrammi. Sono messaggi in bottiglia che viaggiano senza abbandono alla marea: vi chiedo di leggermi, è l’invito. Un gesto semplice fuori dal coro che merita attenzione, rispetto e incoraggiamento”.
Non esiste un modello per fare poesia metropolitana. “Il desiderio che guida gli autori è proporre una poetica accessibile e popolare”, spiega Francesco Terzago, membro del centro studi sulla creatività urbana Inopinatum dell’università Suor Orsola Benincasa a Napoli. “Se hai una poesia, ti serve solo uno spazio per renderla pubblica. Io ho iniziato con i poster. Ma c’è chi pubblica poesia sul retro di vecchie carte da gioco che distribuisce”, aggiunge Mister Caos, al secolo Dario Pruonto, classe 1992, studi all’Accademia di Brera.
Da dove spuntano questi neo poeti? C’è chi viene dai centri sociali e propone contenuti politici, altri nascono nel mondo del writing e delle discipline grafiche. Molti escono dai licei o dalle facoltà di letteratura e filosofia. L’eterogeneità si riflette nella grande diversità delle influenze. Si va da Leopardi alla beat generation, dai graffiti a D’Annunzio, ma la parola d’ordine è la stessa per tutti: gettare parole al vento come semi, perché nelle strade fiorisca la poesia. La setta dei poeti estinti non è un attimo fuggente.