Una grande storia di amore, questo racconta Maestro di Bradley Cooper. Il film è stato definito un biopic prima di essere visto perché è centrato su Leonard Bernstein, il grande direttore d’orchestra e compositore americano, ma nel ripercorrerne la carriera descrive anche il legame fortissimo che lo ha unito per 27 anni alla moglie a dispetto delle sue relazioni omosessuali che pure lo affascinavano. Maestro è nei cinema USA dal 22 novembre (in Italia arriverà a dicembre) e dal 20 dicembre sarà in streaming su Netflix.
“Il progetto è cominciato molti anni fa – ha detto la primogenita di Bernstein, Jamie, alla conferenza stampa della mostra del Cinema a Venezia, dove Cooper era invece assente per lo sciopero degli attori di Hollywood – quando Bradley lo ha preso in mano ne ha fatto la storia di un matrimonio e di un amore più che la biografia di mio padre e trovo che sia bello, i nostri genitori erano molto aperti sul loro rapporto ed è sempre il momento giusto per raccontare una storia d’amore.”
L’intento non potrebbe essere più esplicito che nelle prime e ultime immagini del film. Nell’ultima, Felicia Montealegre Cohn Bernstein (Carey Mulligan) sorride, al compagno geniale di una vita, alla famiglia che insieme hanno costruito, a tutti quelli che credono nell’amore incondizionato, come evidentemente Cooper, che il film lo ha pensato per anni, scritto, diretto, prodotto e interpretato. Nella prima, Bernstein anziano è al pianoforte (Cooper suona molto bene, ha sottolineato Jamie Bernstein e al piano c’è proprio lui), quando finisce si rivolge al giornalista in attesa e gli confida “I miss her terribly”.
Flash back al Bernstein giovane, alla sua chiamata dell’ultima ora a dirigere alla Carnegie Hall a 25 anni che ne ha decretato la fortuna, alle sue amicizie intime con Jerome Robbins e Aaron Copland fra gli altri, le sue prime composizioni, il suo incontro con Felicia. Poi i successi, i figli, West Side Story e tanto altro, ma sempre in una ottica familiare.
” Io, Nina e Alexander – ha detto alla conferenza stampa Jamie, autrice di una biografia del 2018 Famous Father Girl: A Memoir of Growing Up Bernstein che è stato uno dei punti di partenza per Cooper – quando abbiamo conosciuto Bradley e compreso il suo lavoro ci siamo fidati completamente e abbiamo avuto ragione: ha voluto raccontare la storia di nostro padre più autenticamente possibile ed è stato molto generoso nel condividere le sue decisioni con noi. Addirittura quando è venuto a trovarci a casa nostra in Connecticut ne è rimasto così colpito che ci ha chiesto se poteva filmare lì e gliene abbiamo dato il permesso. L’unica parte del processo di realizzazione del film che non abbiamo seguito sono state le riprese: perché mantiene un set molto privato.”

Nel film l’omosessualità di Bernstein è assolutamente esplicita, lui ai figli l’ha tenuta nascosta invece a lungo. “Nel mio libro parlo anche di quello che abbiamo passato noi fratelli quando abbiamo capito che papà aveva anche rapporti omosessuali: è stato difficile ma il forte legame e l’amore che ci unisce ci ha permesso di capire.”
In Maestro Cooper assomiglia moltissimo a Bernstein e questo grazie all’incredibile make up creato da Kazu Hiro e al famoso naso che ha suscitato tante polemiche (un naso ebreo è stato detto, perché non prendere direttamente un attore ebreo per interpretare Maestro?).
“Non pensavo di suscitare tanto clamore – ha detto a Venezia Hiro, Oscar per Darkest Hour (2017) e Bombshell (2019) – mi dispiace se ho offeso qualcuno, il mio scopo era rendere il viso di Leonard più autenticamente possibile, lui aveva un viso iconico che tutti conoscono, ci sono migliaia di foto sue in giro, noi volevamo rispettare quel look e abbiamo fatto tantissimi test prima di scegliere l’aspetto finale. Bradley doveva sottoporsi al trucco per due ore e mezzo per fare Bernstein giovane e cinque ore per quello anziano. Lo faceva di notte per non interferire nell’orario di lavoro degli altri, arrivava alle 2 poi iniziava la sua giornata alle 7 con la crew.” “Non c’è nulla – ha proseguito la 70enne Jamie – che non sia stato rispettato nel film, anche la sua iconografia”.
Bellissime, complesse, le parti musicali per le quali Cooper ha chiamato a collaborare una star della direzione d’orchestra newyorkese: Yannick Nézet-Séguin (direttore della Metropolitan Opera House). “Abbiamo cominciato a lavorarci nel 2018, dirigere è una cosa molto tecnica, ma la cosa peggiore che avrei potuto fare era ingabbiare Bradley con indicazioni precise e l’ho lasciato libero di esprimere le sue sensazioni attraverso il corpo.” Bernstein, definito in un sondaggio il secondo più grande direttore d’orchestra del Novecento dietro a Carlos Kleiber, guidò la New York Philharmonic per 11 anni e proseguì la sua collaborazione con l’orchestra fino alla morte nel 1990. Fu anche presidente e direttore onorario dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma oltre a collaborare con la Scala e la Fenice di Venezia.
“Bernstein aveva un modo di condurre molto fisico, dirigeva con ogni centimetro del suo corpo, anche con gli occhi – ha aggiunto il musicista canadese – tutto era al servizio dell’emozione che gli trasmetteva la musica. Catturare quel genio, far sì che fosse credibile è stata una bellissima impresa.”