Cos’è Finnegans Wake? Un romanzo, una meditazione, un esercizio di stile? I lettori dell’ultimo, onirico testo di James Joyce se lo chiedono da quasi un secolo e se lo sono chiesto spesso anche i membri del club del libro di Venice, in California, che ci hanno messo 28 anni per condurre a termine la lettura delle sue 628 pagine, mese dopo mese.
Avevano cominciato nel 1995 in biblioteca, un gruppo a geometria variabile fra le 10 e le 30 persone; prima due pagine al mese, poi una sola, a volte un’unica frase. Hanno finito lo scorso ottobre. “Deve essere un record” scherza Sam Slote, professore al Trinity College di Dublino e fra i curatori di How Joyce Wrote Finnegans Wake. Lui stesso, confessa al Guardian, ha un gruppo settimanale sul libro, con un’altra decina di esperti dell’autore irlandese. Vanno un po’ più rapidi: ci metteranno, pensano, una quindicina d’anni ad arrivare in fondo.
Joyce ce ne mise 17 a scrivere Finnegans Wake (il titolo, “La veglia di Finnegan”, deriva da una ballata popolare irlandese). Ha la reputazione di un autore difficile, in gran parte per l’Ulisse, il suo capolavoro che racconta la giornata di Leopold Bloom fra esperimenti linguistici spesso molto ostici. Ma l’ultimo libro è su un altro piano: da quando uscì nel 1939 i critici dibattono su dove si svolga, chi siano i personaggi, quale sia la storia, o se una storia ci sia, da rivelare nell’accozzaglia di parole reinventate, allusioni e riferimenti a oltre 80 lingue diverse.
Bruce Woodside, che ha 74 anni, da metà anni Novanta è uno dei membri del club del libro di Venice; un animatore in pensione della Disney che ammette, “sono 628 pagine che sembrano piene di refusi, ma ha una sua qualità visionaria”. Infatti lo legge e rilegge dall’adolescenza. Invece Peter Quadrino di anni ne ha 38 e si è unito al gruppo nel 2008; una volta al mese si faceva tre ore di strada da San Diego, perché, spiega, “se Finnegans Wake ti interessa davvero, non è facile trovare qualcuno che abbia voglia di parlarne”. E che trovi qualcosa di intelligente da dire. Joyce – che una volta disse “ai miei lettori chiedo che dedichino tutta la vita a leggere le mie opere” – sarebbe contento.