Il documentario di Duccio Chiarini, Italo Calvino, lo scrittore sugli alberi, è in tour per gli Stati Uniti in occasione del centenario della nascita di uno degli scrittori italiani più importanti del Novecento. Prima tappa l’Istituto Italiano di Cultura di Washington. “La scommessa del film è di offrire un nuovo sguardo, in particolare per quanto riguarda l’esperienza partigiana prima e la militanza nel PC poi, il rapporto creativo con città come Parigi e New York, il suo interesse per la scienza, esperienze che hanno costituito la complessità dell’immaginario autorale di Italo Calvino”, ha spiegato il regista di Short Skin (2014) e L’ospite (2018).
Il film, presentato a Venezia come apertura delle Giornate degli Autori il 29 settembre nella sezione Proiezioni Speciali, offre una rivisitazione del percorso artistico dell’autore tramite una delle sue opere più celebri, Il Barone Rampante. Questo romanzo del 1957 diviene un filtro interpretativo attraverso il quale esplorare la relazione tra l’opera stessa e i contesti storici e politici che Calvino attraversò nel corso del suo tempo.
“Visse sugli alberi – amò sempre la terra – salì in cielo” è stato scritto sulla lapide di Cosimo Piovasco di Rondò, protagonista letterario dell’opera. “Quando ti sei imbattuto per la prima volta con un libro che diventa metafora del perseguire e difendere la propria diversità, esso ci insegna che la vera ribellione richiede disciplina” spiega Chiarini. “Il mio primo incontro con Italo Calvino risale ai tempi dell’infanzia, quando lessi Il Barone Rampante a scuola. Ricordo ancora il senso di libertà che ho provato davanti all’atto di disubbidienza del dodicenne Cosimo Piovasco che dopo una lite con suo padre che intendeva costringerlo a mangiare lumache, si arrampica su un albero e decide di non scendere mai più. Non accetta compromessi. Riletto da adulti se ne colgono tutte le sfumature politiche. Cosimo a suo modo è lo stesso Calvino”.

“L’abbandono del partito comunista assomiglia al balzo di Cosimo sugli alberi. Calvino scende in campo con questo romanzo nella discussione sull’impegno politico e sociale dell’intellettuale, rifiutando il ruolo di intellettuale organico, per uscire dagli schemi precostituiti e cercare nuove soluzioni” prosegue Chiarini. “La cosa che più mi ha interessato nel fare questo film è stato riflettere sul ruolo dell’intellettuale in un’epoca in cui all’intellettuale viene sempre chiesto da che parte stai o dove ti schieri, lo si accomuna alle altre persone. Invece ho trovato su un numero della rivista Linus di due mesi fa un vecchio intervento di Umberto Eco, dove riflette sul ruolo fondamentale del Barone Rampante nel costruire un’immagine dell’intellettuale come una figura che sta in disparte e contribuisce alla vita pubblica portando uno sguardo che non è di parte, che non è partitico. Calvino ha avuto questa intuizione nel momento in cui all’intellettuale si chiedeva di essere schierato”.
Il film è impreziosito da immagini di repertorio e materiale inedito e una serie di interviste, da quella alla figlia Giovanna passando per Ernesto Ferrero e Stefano Bollani. Come ha scelto i personaggi a cui dare voce nel film? “L’intenzione era offrire un nuovo sguardo sullo scrittore sottolineandone la sua assoluta modernità. Persone come Ernesto Ferrero, della Casa editrice Einaudi, il musicista jazz Stefano Bollani e Mario Barenghi, che ha curato vari saggi sullo scrittore ligure, mi hanno consentito di raccontare il rapporto tra lo scrittore e la sua epoca, la società che aveva intorno. Avrei voluto coinvolgere anche altre personalità, tra cui la regista Alice Rohrwacher. Entrambi condividono un modo originale per comprendere e interpretare la complessità del reale attraverso la fantasia. Ma non mi è stato possibile per ragioni di budget e tempo. L’uso dei materiali di repertorio invece è stato di grande aiuto per ricostruire il dialogo tra la vita privata dello scrittore, e il suo retroterra politico, sociale e culturale”. Chiarini ha avuto accesso ai filmati amatoriali del padre all’inizio degli anni Venti, alle lettere con la moglie Chichita negli anni Sessanta, e altro materiale messo a disposizione dalla figlia Giovanna.
Calvino muore mentre preparava un ciclo di lezioni che avrebbe dovuto tenere presso l’università di Harvard, e che furono pubblicate nel 1988 con il titolo Lezioni americane. Cosa rappresenta per Calvino l’esperienza a New York? “In un momento in cui la politica lo aveva deluso, l’arrivo in un paese come gli Sati Uniti rafforza la sua convinzione che l’intellettualismo spesso accompagnato al virtuosismo formale non siano strumenti idonei a parlare della nostra contemporaneità. Predilige una narrativa lineare a cui si accompagna la leggerezza (teorizzata nelle Lezioni americane assieme a Rapidità, Esattezza, Visibilità e Molteplicità), ovvero la capacità di affrontare anche gli argomenti più impegnativi con divertimento e ironia. Italo Calvino è riuscito a elaborare una sintesi vera ed estrema del suo tempo”.

Nelle Cosmicomiche, una raccolta di racconti fantastici, Calvino afferma che le immagini riescono a spiegare ciò che il linguaggio non riesce a spiegare e si domanda se oggi che siamo bombardati da immagini, saremo ancora capaci di ricreare nella propria mente queste immagini. Quale consiglio darebbe Calvino in un’era tecnologica come la nostra? “Lui suggerisce una rieducazione all’immagine. E qui ritorniamo al concetto di leggerezza della letteratura che deve trovare sempre modi per elevarsi rispetto alla pesantezza della realtà. Esortava a prendere la vita con leggerezza perché ‘la leggerezza non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore’. Guardare il mondo con un’altra ottica. Ed è qui che sta la forza delle immagini. Le immagini di leggerezza per affrontare la vita di tutti i giorni”.
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