Alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University sono andati in scena cinquant’anni di moda italiana con Milano: the Inside Story of Italian Fashion, un documentario del regista italoamericano John Maggio (Panico: la storia mai raccontata della crisi finanziaria del 2008; The Italian Americans). Per il film, dopo il debutto italiano al termine della fashion week milanese dello scorso febbraio, è stata la volta dell’anteprima negli Stati Uniti. Venerdì 6 ottobre, in una sala gremita, il direttore dell’istituto Stefano Albertini ha ospitato il regista vincitore di un Emmy in conversazione con la giornalista Grazia D’Annunzio, già special project editor di Vogue Italia e co-ideatrice di Addressing Style, una serie di talk sulla moda che si svolgono presso la Casa Italiana e da lei presentati.
Nato da un’idea di Alan Friedman, reporter americano da anni in Italia, il film raccoglie le testimonianze dei principali protagonisti del patrimonio della moda italiana: da Giorgio Armani e Dolce&Gabbana al direttore creativo di Valentino, Pierpaolo Piccioli. Un viaggio che conduce lo spettatore attraverso la nascita e l’esplosione della moda della Penisola negli anni Ottanta e Novanta. “Milano ha fatto da catalizzatore – enuncia nel documentario Carlo Rivetti, proprietario di Stone Island – un luogo capace di unire tutti”.

“Milano è stata una scoperta – ha rivelato, invece, John Maggio. – Alla fine ho capito che per me è soprattutto un’idea, come un palco simile a quello di un teatro d’opera, colmo di dramma e passione”.
Filo conduttore del documentario è il concetto di famiglia alla base della moda italiana. L’imprenditoria è un affare che si tramanda. Inoltre, il racconto a tratti ilare di Santo Versace fa emergere la rivalità Armani–Versace, entrambi senza dubbio responsabili di aver dato inizio a ciò che la moda italiana rappresenta tuttora nel mondo. Non passa inosservata nemmeno la narrazione che vuole nord contro sud. “Il composto Giorgio Armani opposto al flashy Gianni Versace” – analizza Tom Ford. Quest’ultimo emerge come una delle voci narranti chiave del film, assieme a Valerie Steele, direttrice del Museo del Fashion Institute of Technology di New York presente in sala, alla fashion editor britannica Suzy Menkes e all’espertissima Giusy Ferrè, la giornalista di moda dalla chioma color arancio, morta un anno fa.
Racconti supportati da star del cinema come Sharon Stone, perfetta fashionista in un pomposo tailleur in raso verde smeraldo con vistose decorazioni bijoux; altresì critica attenta: “Guarda le rifiniture interne di questa giacca – spiega nel filmato – strutturata e rifinita alla perfezione, dettagli emblematici del duo Dolce&Gabbana”.
“Ho fatto i conti con molta vanità – ha riferito Maggio durante la conversazione. – Miuccia Prada non ha voluto essere ripresa. Armani, per esempio, mi ha costretto a ripetere un’infinità di volte l’inquadratura. Apparentemente luce e colori non gli rendevano giustizia”.

Il racconto intimista di re Giorgio, una vera sorpresa, è senza dubbio tenero, toccante. “Avere contro tutti è sempre stato un po’ il mio motto” – rivela, suscitando ilarità.
Domenico De Sole, ex CEO di Gucci e Presidente di Tom Ford, svela aneddoti sconosciuti a tutti riguardanti la Maison Gucci e quella di Versace, confermati dal CEO di quest’ultimo, Santo. Sembra che le due case, prima dell’assassinio di Gianni, stessero parlando di fusione, un’idea che avrebbe prodotto il primo gruppo di moda italiano in anticipo su tutti. Una Donatella Versace in lacrime, minacciando il suicidio, si rifiutò di cedere a Tom Ford il timone che era stato del fratello, per cui l’affare non andò in porto.
Una parte significativa del film si concentra sul legame tra moda milanese e Hollywood, secondo i racconti, vero fronte di conquista del mercato americano. La magnifica attrice statunitense Frances McDormand offre una visione eloquente degli enigmi della moda di Milano e parla del suo progetto di “performance art” insieme al direttore creativo di Valentino Pierpaolo Piccioli per il Met Gala di New York.
Il documentario racconta anche le relazioni tra attori e designer grazie alla modella e attrice Lauren Hutton che parla della sua esperienza nel film American Gigolò con Richard Gere, possessore di un guardaroba traboccante di abiti Armani, supportata dagli aneddoti e dai commenti degli attori Helen Mirren e Samuel L. Jackson.
Nonostante il regista, a suo dire, non abbia mai masticato moda, il racconto è particolarmente riuscito. Non tutti, però, perdoneranno a John Maggio l’esclusione dello stilista Gianfranco Ferrè. “Come è possibile? – lamenta Grazia D’Annunzio. – Lo sa che Ferrè è l’unico vero milanese fra i tanti?”
Stupisce scoprire che per John Maggio la figura precisa, quasi perfetta, dello stilista architetto avrebbe rovinato il tono vivace della trama. “Non sono uno storico – si è difeso. – Sono un regista che, fino a poco tempo fa, della moda sapeva unicamente che vestire bene porta a fare una bella figura. Vestire, dunque, è come raccontare una storia”.