“Ho visto con i miei occhi madri inginocchiarsi davanti all’ospedale con i loro figli morti in braccio, chiedendogli perdono per non essere riuscite a salvarli, magari dopo giorni e giorni di cammino”. Con queste parole Mariavittoria Rava, Presidente della Fondazione Francesca Rava, racconta la difficile condizione che sta attraversando Haiti in questo periodo.
Presente fin dal 1987 sul territorio, la Fondazione è riuscita a realizzare l’unico ospedale pediatrico esistente sull’isola, il Saint Damien, gestito da padre Richard Frechette, sacerdote e medico americano. Il gruppo, oltre all’ospedale, gestisce diverse scuole di strada, centri di formazione professionale e riabilitazione per bambini.
La crisi sociale ed economica del Paese non è mai stata così grave come in questo momento. Dall’omicidio del presidente Jovenel Moise del 2021, la nazione è precipitata in una spirale di violenza e le bande criminali ne hanno preso il controllo. Le autorità sono scomparse e la popolazione, oltre che della fame e dell’incertezza per il futuro, è ostaggio della violenza. Da allora Haiti non è mai riuscita a emergere dalla pesante situazione socio-economica iniziata dal periodo coloniale.

Presidente Rava, attraverso la Fondazione e le vostre strutture ad Haiti avete un osservatorio privilegiato su quanto sta accadendo
“La nazione è completamente paralizzata anche nei trasporti, non c’è gasolio, non c’è energia elettrica, manca l’acqua potabile. La popolazione è esasperata, alla fame. Ogni giorno avvengono rapimenti a scopo di estorsione e non solo di uomini, donne e bambini, ma anche di cadaveri. Il valore della vita in questo momento è molto basso”.
Si è molto parlato di interventi internazionali. Ci sono state azioni concrete in questo senso?
“Il popolo di Haiti è molto resiliente e vorrebbe potersi rialzare da solo, ma capisce che senza interventi internazionali questa volta non può riuscire a farcela. Purtroppo ogni appello al momento risulta essere stato inascoltato. Si cercano pace e soluzioni che non vadano a peggiorare la situazione o ledere diritti già tanto deboli”.
Ma come si vive adesso, è possibile una quotidianità?
“In questo momento c’è molta paura. Ifigli non riescono ad andare a scuola, le madri a vendere le poche cose che hanno al mercato. Anche il nostro personale vive barricato nelle strutture. Le gang controllano il territorio, non è possibile intavolare con loro una transazione”.
L’ospedale i centri sono operativi in questo momento?
“Ogni giorno ringrazio tutti coloro che lavorano per noi qua sul posto. La nostra organizzazione si avvale di personale, 100% locale. Non abbiamo volontari che vengono dall’estero se non per insegnare. Le nostre strutture sono sempre rimaste aperte. Sono circa 300 le figure impiegate al loro interno. Medici, infermieri, tecnici manutentori: sono tutte persone che hanno scelto di rimanere a fianco del loro Paese. Il nostro progetto fornisce loro sussistenza ma permette soprattutto la salvezza a 80mila bambini”.
In queste drammatiche situazioni come stanno i più piccoli?
“A causa dell’indigenza arrivano da noi in condizioni disperate. Malnutriti, ma soprattutto disidratati, effetti conseguenti anche alle epidemie di colera, che dopo il terremoto è divenuto endemico e in alcune situazioni estreme, come l’insorgere degli uragani, porta i casi a esplodere e moltiplicarsi”.
Perché Haiti ha una storia tanto travagliata rispetto a Santo Domingo?
“Geopoliticamente e geograficamente è in una posizione più sfavorevole. Adagiata sulla faglia di Sant’Andrea che causa terremoti devastanti, non permette ai suoi abitanti di vivere in una condizione di stabilità, procurando inevitabile avversità nei confronti della natura. Ha montagne che riducono gli spazi agricoli, una deforestazione dilagante, a causa della mancanza di energia gli alberi vengono abbattuti per estrarre legna. La sostenibilità sociale è decisamente connessa con quella ambientale. Non è possibile proteggere l’uomo se non si protegge l’ambiente in cui vive”.
Esiste ancora la speranza ?
“La speranza è che qualcuno possa intervenire al più presto. Colgo l’occasione per fare un appello affinché questo Paese non venga abbandonato. Mi rivolgo alle organizzazioni umanitarie, ma anche all’Osservatorio dei diritti Umani dell’Onu. Ormai siamo ben al di sotto della soglia di dignità umana”.