Uno dei King Lear più potenti. Interpretato da una donna: Glenda Jackson.L’attrice inglese scomparsa oggi all’età di 87 anni fino a 4 anni fa era sulle scene in un dramma shakespeariano di grande intensità. A Broadway nel 2019 dominava con le sue nude emozioni, con la sua capacità di rendere la tragedia con il gesto minimo, scarnito, denudato. Grandiosa. L’avevamo ammirata stupiti da tanta forza, tanta energia su una scena sua anche quando non era presente. Era rimasta lontana dal teatro per 23 anni, durante i quali si era dedicata al governo della sua nazione come membro del Parlamento, il potere lo conosceva bene quindi dall’interno. Il suo ritorno nel ruolo del re, sfidato dalle sue stesse figlie, era stato prima nel 2016 all’Old Vic Theatre di Londra poi a Broadway. In mezzo ci aveva messo anche una interpretazione di Three Tall Women di Edward Albee che le aveva fatto vincere un Tony.
La sua scomparsa dopo una breve malattia, come ha comunicato il suo agente, nella sua casa di Blackheath a Londra, con la sua famiglia presente, priva il mondo di una delle grandi interpreti inglesi che hanno segnato un’epoca. La sua carriera è iniziata 60 anni fa, la prima fama è arrivata nel ‘64 con un lavoro sperimentale del teatro di Peter Brook sul caso di Christine Keeler, in cui per la prima volta nella storia del teatro inglese, ha anche recitato nuda. Da allora non si è fermata, fra teatro televisione e cinema, scegliendo sempre ruoli rischiosi, con un senso. Nel 1969 ha vinto il suo primo Oscar con Women in Love, il secondo nel ’73 con A touch of class. Non è andata a nessuna delle cerimonie e le statuette le ha date alla madre che, lei stessa raccontava, le ha lucidate talmente tanto che l’oro è scomparso alla base. Giusta analogia, commentava.
Nata nel 1936 nel Cheshire, nell’Inghilterra del nord, da un padre che trasportava mattoni e una madre che faceva le pulizie nelle case e serviva la birra nei pub per sfamare 4 figli, Glenda Jackson ha provato prima a studiare danza, scoperto di essere troppo alta si è buttata nella recitazione, intanto divorava tutti i libri che trovava in biblioteca, ma a 16 anni, bocciata, ha lasciato la scuola ed è andata a fare la commessa da Boots, una catena di prodotti farmaceutici e di bellezza. E’ allora che ha iniziato a recitare, per gioco, fino a tentare di entrare al Royal Academy of Dramatic Art ed essere presa con una borsa di studio. Intanto continuava a fare tutti i lavori che capitavano, dormiva in teatro con il marito attore anche lui, Roy Hodges, e ogni tanto rubava del cibo per campare. Quando si è presentata all’audizione di Peter Brook era “la figura più curiosa – ricordava il regista – una ragazza timida, ma insieme aggressiva vestita male che sembrava avercela con il mondo”. Quando ha lasciato la recitazione per candidarsi come membro del parlamento nel Labour Party lo ha fatto per continuare a ribellarsi, ma dal di dentro. Ha duramente criticato la partecipazione inglese alla guerra in Iraq, criticato la politica di Margaret Thatcher, previsto la debacle della Brexit.
Oggi se ne va una grande interprete, ma prima di tutto una grande donna.