Lo scorso anno ci sono state più stragi nelle scuole americane, 46, che in qualsiasi altro anno a partire dal 1999, dal massacro del liceo Columbine. Da allora, secondo il Washington Post, se ne sono verificate altre 380, 199 fra studenti e insegnanti sono morti e 352.000 ragazzi sono rimasti traumatizzati.

Questi dati per contestualizzare un film, Eric Larue, presentato al Tribeca Festival, diretto dall’attore Michael Shannon alla sua prima prova dietro la cinepresa, che racconta cosa succede dopo un massacro scolastico. Dal punto di vista dei genitori. Del carnefice. Un film assolutamente attuale. una riflessione necessaria anche se non del tutto originale, basta pensare a We need to talk about Kevin con Tilda Swinton o Mass di Fran Kranz fra gli altri.
Tratto da un testo teatrale di Brett Neveu del 2002, il film mantiene una teatralità nel suo svolgersi sempre in interni e nella forza dei dialoghi e dei silenzi. Shannon non avrebbe voluto dirigere, ha detto, gli sembrava una responsabilità troppo grande, ma quando ha letto la sceneggiatura ha sentito che doveva farlo. “Il film è su questo paese, su come si vive qui” ha spiegato a Variety concludendo: “penso che l’America non abbia senso”.
La madre di Eric, (interpretata da Judy Greer) cerca di superare il senso di colpa, il dolore, l’ottundimento ma passa le giornate al buio fumando e guardando la porta chiusa della stanza del figlio. Il marito (Alexander Skarsgård) trova conforto in una nuova confessione religiosa. I due non riescono a comunicare, cercano soluzioni diverse.

Lei accetta alla fine di incontrare le madri delle vittime e allora iniziano ad emergere quelle che lei ritiene essere le motivazioni della tragedia: il figlio veniva bullizzato a scuola, tornava tutti i giorni in lacrime. E’ una motivazione sufficiente a uccidere? le chiede la mamma di uno dei ragazzi uccisi. Lo chiediamo anche noi spettatori. Ma è solo quando la protagonista va finalmente ia trovare l figlio in carcere e lui le dice di provare sincero rimorso per quello che ha fatto che avviene la scena clou. Lei gli confessa di aver sempre sentito che lui era un diverso, da quando era neonato e aveva una testa troppo grande e la gente le chiedeva se non fosse stato, per caso, down. Una premonizione alla tragedia. E lei cosa ha fatto per evitarla? Cosa ha fatto quando il figlio veniva bullizzato? Cosa fa quando lui le parla delle condizioni del carcere? Domande senza risposta. Il figlio le chiede di non andare più a trovarlo, lei acconsente.
Penso che l’America non abbia senso ha detto il regista. Lo pensiamo anche noi.