Guido De Maria si racconta con generosità. Noto disegnatore, autore TV e straordinario regista di spot pubblicitari, De Maria appartiene di diritto alla storia creativa dell’Italia. Con lui ripercorriamo l’avventura dei fumetti in televisione. Iniziata con “Gulp! i fumetti in TV” programma ideato da lui e Giancarlo Governi, che ebbe tale successo con la prima stagione nel ’72 da spingere il Servizio Opinioni Rai a commissionare un’indagine sul nuovo linguaggio televisivo che riusciva a coinvolgere adulti e bambini in prima serata. Il protagonista Nick Carter, nato da Bonvi e De Maria, ha accompagnato i telespettatori negli Anni ’70 e ’80 (con il seguito del programma, “Supergulp”).

“Mio padre riteneva che la poesia, i versi, l’arte non dessero da mangiare. In un certo senso aveva ragione, perché non eravamo in Francia, e gli umoristi puri in Italia morivano di fame” – ci confessa De Maria – Ma io ho scelto di abbandonare gli studi di matematica e fisica, e sono andato avanti. Approdato finalmente al mondo della pubblicità – che dava invece non solo il pane, ma anche il companatico – sono arrivati i caroselli di successo. Da autore, disegnatore, regista, montatore, sono diventato un film maker a tempo pieno.
Che cosa hanno rappresentato i fumetti in tv?
Hanno significato un’epoca. Non erano cartoni animati, ma immagini statiche di fumetti riprese e trasmesse in successione, come se si stesse appunto leggendo un fumetto, mantenendo le nuvolette con le battute dei personaggi che venivano lette da doppiatori. L’idea vincente ed innovativa fu quella. Per dare l’idea del movimento, le vignette erano montate in sequenza con opportuni accorgimenti e dissolvenze. La nuvoletta faceva capire i dialoghi e i telespettatori non si distraevano. Vi riversai tutta la mia esperienza del carosello, e aggiunsi una colonna sonora a qualcosa che non si muoveva.
Come nacque l’avventura?
Governi, allora responsabile del reparto programmi speciali della RAI, aveva iniziato a sviluppare l’idea di un programma, ispirato da un carosello di Paul Campani, che portasse i fumetti in televisione. Contattò il mio studio per un numero zero, ed insieme al disegnatore Bonvi, allora già molto noto, iniziammo a lavorarci. Ci propose come personaggio principale Nick Carter o Petrosino, entrambi appartenenti al genere popolare delle dime novels, diffusosi negli Stati Uniti durante il XIX secolo.
Per Bonvi non faceva differenza disegnare l’uno o l’altro. Io scelsi il primo, per i diritti d’autore, Nick Carter risaliva al 1886, e perché era un personaggio di pura fantasia che si prestava di più a storie divertenti al contrario di Petrosino, ispettore di polizia realmente esistito che aveva combattuto il crimine. Il programma fu trasmesso dal settembre al dicembre 1972 e la prima puntata si apri’ con una presentazione di Cochi e Renato, che fecero da padrini della trasmissione. In seguito, dal 1977 al 1981, il programma ritornò come “SuperGulp!”, arricchito da nuovi fumetti, e a colori.
Chi collaboro’ con voi al successo del prodotto?
Molti noti autori del fumetto e del cartone animato italiano del periodo: oltre a Bonvi, Bruno Bozzetto, Hugo Pratt, Silver, Sergio Bonelli. Dal 1977 vennero inclusi nella trasmissione anche i cartoni animati dei supereroi della Marvel Comics.
Torniamo a Nick Carter.
Era un detective non proprio acutissimo, molto basso. Con un berretto stile Sherlock Holmes, un papillon rosso a pois e un impermeabile. Al suo seguito due collaboratori: Patsy, gigante buono e un po’ tonto e Ten, saggio giapponese sempre pronto a sfornare massime in rima che incominciavano con «Dice il saggio». L’acerrimo nemico era Stanislao Moulinsky, immancabilmente battuto, che alla fine diceva a Carter: «Ebbene sì, maledetto Carter! Hai vinto anche stavolta!»
Che avventure erano quelle di Nick Carter?
Facili, ma divertenti. Senza tempo e senza età. Grazie ad alcuni elementi di ripetizione, la gente si affeziono’ ai personaggi. Musiche, sigle. L’ambientazione era una New York un po’ strana. Del resto, bastava dire New York e già avevi detto molto dello sfondo della storia. I telespettatori rimasero incollati al teleschermo. Inventavamo casi gialli e li facevamo risolvere. Per la voce di Nick Carter scelsi quella di Carletto Romano, uno dei più grandi doppiatori ( Lewis, Don Camillo, Hitchcock…). Fu ben felice di fare il mio Nick Carter. Purtroppo morì giovane.
Della televisione di oggi cosa ne pensa?
Mi sono sempre cibato di immagini, e la guardo, ma nella televisione di oggi non c’è molta sostanza.
Come descriverebbe la sua creatività?
È il sesto senso. E’ la capacita’ di cogliere il lato umoristico in ogni circostanza, in ogni momento. Anche in quelli drammatici. Il senso umoristico delle cose salverà il mondo: il mio è un mestiere da ridere.
Qualche pentimento professionale?
Di non aver fatto prima questo lavoro, e a volte di non averlo fatto meglio per mancanza di tempo. Sono un perfezionista, anche se non è, tutto sommato, un grosso difetto.
Per concludere: che ricordo della sua lunga vita vuole regalarci?
Mi chiedevano sempre i miei genitori: Cosa vuoi diventare da grande? Un giorno risposi al mio papà, stufo di questa ricorrente domanda: Voglio diventare vecchio. Ci sono riuscito, anche se ci sono voluti novant’anni… Niente distrazioni, altrimenti si è fottuti. Insomma: non bisogna morire prima! E, come diceva Patsy: “L’ultimo chiuda la porta!”