È sempre più raro in un’epoca in cui l’assimilazione di una canzone ha la durata di una story o di un video su TikTok imbattersi in un’artista emergente che ha come punto di forza la profondità della sua poetica. Kara Jackson non si è fatta conoscere su Soundcloud, né è diventata popolare grazie ai trend delle piattaforme o alle sincronizzazioni di tv show di successo.
Nata nel 2000 a Oak Park, sobborgo occidentale a maggioranza bianca di Chicago che sorgeva sull’antico lago della metropoli dell’Illinois, non ha mai nascosto le sue radici del Sud.
Il padre è originario di Dawson, Georgia, e fin da piccola Kara Jackson contamina il suo immaginario letterario nella tradizione del Deep South dell’Alabama, della Louisiana oltre che della Georgia rurale.
Le sue radici southern e l’impatto dell’eredità razziale e segregazionista sulle comunità afroamericane dell’America contemporanea marchiano a fuoco la sua ricerca letteraria. Gwendolyn Brooks, leggendaria poetessa del Kansas cresciuta a Chicago e prima afroamericana vincitrice del Pulitzer per la poesia nel 1950, è la sua musa ispiratrice e uno dei modelli che la convincono a scrivere e studiare poesia. Fin da giovanissima studia piano e chitarra appassionandosi ai classici di Ella Fitzgerald e Aretha Franklin passando per la Three 6 Mafia e le più contemporanee Joanna Newsom e ovviamente Beyoncé.

Essere nati a Oak Park, che per molti è semplicemente una meta turistica da appassionati di architettura a caccia delle strutture progettate da Frank Lloyd Right, è un segno del destino anche perché lì sorge una delle scuole più rinomate dello Stato, la Oak Park and River Forest High School che ha per alumni tantissime personalità: da Ernest Hemingway fino a Dan Castellaneta, Kathy Griffin e Ludacris. Kara Jackson si diploma nel programma di poesia di questa scuola e mette subito in luce il suo talento raro conquistando nel 2019 il prestigioso titolo di National Youth Poet Laureate, riconoscimento nazionale dedicato agli astri nascenti nella poesia che dimostrano nella scrittura talento e adesione ai principi della giustizia sociale.
Nello stesso anno pubblica il chapbook “Bloodstone Cowboy” sulla vita e le origini dei suoi genitori messe in parallelo con la sua vita di donna afroamericana cresciuta in un’altra epoca nel Midwest e il suo primo EP, A Song for Every Chamber of the Heart, una raccolta di canzoni folk, minimali e viscerali, scritte ed eseguite con sola chitarra e voce che pongono le basi per la sua altrettanto ambiziosa carriera musicale.
L’album di debutto, già molto apprezzato dalla critica internazionale, ha una gestazione che corrisponde agli anni della pandemia, ed è un passo avanti dal punto di vista compositivo grazie al coinvolgimento di amici e collaboratori come Sen Morimoto, Kaina, NNAMDÏ. Il lutto e il dolore scorrono attraverso le tracce di questo “Why Does the Earth Give Us People to Love?”, uscito a metà aprile su September Recordings e dedicato alla memoria della sua migliore amica Maya scomparsa prematuramente per un cancro ai tempi della scuola superiore.
«Perché ci presentiamo su questo mondo l’uno accanto all’altro? Per amare e piangere? Per maledirci a vicenda? Per morire lavorando ogni giorno?» scrive nel testo che accompagna la presentazione del disco. Tredici tracce per quasi un’ora di folk malinconico senza tempo, dove l’eleganza delle parole si adagia alla perfezione su arrangiamenti scarni ed evocativi che riportano alla memoria le grandi songwriter Americana e, a tratti i canadesi Low. In primavera abbiamo già uno dei dischi folk dell’anno grazie a una poetessa di appena ventitré anni.
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