Caio Clinio Mecenate è stato un politico romano, un consigliere influente e un grande alleato dell’imperatore Augusto. Fu il primo ministro della cultura e dunque il primo ufficiale protettore di artisti e poeti. A lui dobbiamo il termine mecenate. L’Italia ha una lunga storia di mecenatismo senza la quale non avremmo ereditato l’immenso Patrimonio Culturale che ci racconta di antiche vicende. Sul Pantheon a Roma, ancora oggi leggiamo del suo costruttore Agrippa, che tuttavia fu prima di tutto il comandante delle truppe di Ottaviano a cui si deve la vittoria su Marcantonio e Cleopatra.
Nel 1515 abbiamo avuto il primo prefetto delle antichità di Roma, Raffaello Sanzio e fu un mecenate come Papa Leone X ad investirlo di tale mandato, e lui che nutriva un grande amore verso l’antichità e una profonda conoscenza, si dedicò alla redazione della mappa della città antica e dei suoi monumenti, basata su di una precisa misurazione e classificazione delle rovine che, purtroppo, non andò mai in porto per la sua prematura scomparsa a soli trentasette anni. Di quell’impresa ci resta un’incredibile testimonianza, la lettera scritta al Papa, a quattro mani con l’amico Baldassare Castiglione, un documento pieno di ardore dei due umanisti nella difesa dei monumenti antichi e anche di sdegno per chi si era reso responsabile della loro distruzione e del loro danneggiamento. Erano, questi, sentimenti comuni al tempo tanto che, narra la tradizione, Michelangelo, incaricato dal papa Giulio II di completare il meraviglioso Torso, appena ritrovato e da allora custodito nei Musei Vaticani, con l’aggiunta di arti e testa, avrebbe declinato la proposta, giudicando il Torso troppo bello per essere alterato, ma comprendendone la potenza, anche se monco, lo rielaborò nella sua mente utilizzandolo come fonte di ispirazione per alcune figure del suo capolavoro nella volta della Cappella Sistina.

Ancora un noto episodio ci ricorda di un giovanissimo Bernini e di quando venne pagato 60 scudi per creare il letto di marmo su cui l’Ermafrodito sta ancora oggi adagiato al Louvre (nel 1807 la scultura fu acquistata da Camillo Borghese marito di Paolina Bonaparte e finì così nelle collezioni del museo francese). La scultura rinvenuta nei pressi delle terme di Diocleziano nel 1608, durante il periodo dei lavori di costruzione di Santa Maria della Vittoria, venne mostrata al Cardinale Scipione Borghese, mecenate d’eccellenza, che se ne appropriò prontamente e in cambio pagò di sua tasca l’intera facciata della chiesa in costruzione.
Committenti, mecenati, collezionisti senza di loro non avremmo nulla da conservare, da tramandare e tradurre ai posteri. Ma tutto questo patrimonio ha un costo. La cultura costa e necessita di continue risorse e proprio dagli USA apprendiamo ancora oggi, meglio che nel nostro paese, che si può conciliare l’interesse pubblico per la tutela con l’idea di profitto.
Oggi in Italia esistono fondamentalmente due sistemi per incentivare la partecipazione del privato nella valorizzazione e conservazione del Patrimonio Culturale. Sistemi come l’Art Bonus e la SponsorArt incentivano infatti il privato a donare, nel primo caso e a sponsorizzare nel secondo. Tutte e due i sistemi prevedono processi di defiscalizzazione. L’art Bonus attraverso l’acquisizione di un credito d’imposta parti al 65% della somma erogata da recuperare in tre anni in quota parte, mentre procedendo con la SponsorArt la defiscalizzazione è del 100% dato che, altro non è se non un contratto commerciale scaricabile per il soggetto giuridico. In questo abbiamo ancora un certo margine di miglioramento rispetto agli USA dove gl’incentivi fiscali sono maggiori.
Il mezzo utilizzato oltreoceano per sostenere la cultura sono le organizzazioni non profit che sono iscritte al loro albo con il codice 501c3. Qualunque donazione viene fatta ad una 501c3, da qualunque entità giuridica, questa detrae il 100% dalle tasse da versare. Dietro a questo metodo di defiscalizzazione vi è una storia che risale alla sua introduzione ed è legato alla nascita del primo museo oltreoceano. Intorno al 1920 Andrew W. Mellon, banchiere, businessman, industriale, filantropo, collezionista e politico non volendo pagare le tasse sulla sua discreta collezione di opere d’arte, propose la detrazione fiscale del valore di mercato delle opere d’arte donate ad un’istituzione pubblica come un Museo. Presentò così al presidente Roosevelt un’offerta per istituire la Galleria Nazionale di Washington a cui Mellon avrebbe donato la sua collezione d’arte. Nonostante la causa fiscale contro Mellon (che poi vinse), l’amministrazione Roosevelt accettò l’offerta e il Congresso approvò una legislazione che autorizzava la costruzione della National Gallery of Art alle condizioni di Mellon. La National Gallery of Art è stata aperta nel 1941 e continua a funzionare grazie alla defiscalizzazione introdotta da A.W. Mellon.
Gli Stati Uniti rispetto all’Italia non hanno ereditato un patrimonio culturale di millenni, se lo sono costruito soprattutto grazie agli incentivi fiscali. Tutte le maggiori realtà culturali americane sono nate o hanno avuto delle donazioni da parte di mecenati. E continuano ad essere sostenute dai mecenati contemporanei. Ogni museo, università, teatro ha la sua 501c3, che gestisce il marketing e il fundraising dall’interno, che produce programmi e progetti senza sosta spesso cuciti addosso alle “tasche” del mecenate. Questo è il motivo per cui in America esiste ed è molto forte il concetto di comunità, di responsabilità, di appartenenza e di difesa. Per gli americani il museo è il loro museo così per il teatro e per qualunque altra istituzione. Certamente quindi è giusto, in Italia, studiare e ispirarsi al sistema di defiscalizzazione che hanno in USA, ma va anche compreso che nel continente americano funziona perché ci sono progetti ben strutturati da finanziare che hanno un core business soprattutto nella gestione futura di quel bene. Progetti che possono e devono essere realizzati attraverso la sinergia tra pubblico e privato e con una progettazione virtuosa che cali il progetto in una visione olistica, che tenga quindi conto di tutti gli aspetti dalla ricerca, alla comunicazione, alla valorizzazione, alla conservazione, alla visibilità per l’azienda, al ritorno per la comunità e per l’intero investimento, alla sostenibilità nel tempo, alla fruibilità per tutti i pubblici, alla funzionalità e alla replicabilità. In questo gli americani sono dei maestri.
Nonostante l’Italia sia un paese permeato di cultura questo tipo di progettazione è raramente possibile, la conoscenza resta arroccata, la conoscenza non comunica, non è inclusiva, non è accessibile. La cultura continua ad essere vista come una classifica e non un processo.
Siamo tra i paesi che sono stati più conquistati al mondo e in questo senso più ibridi. Questo è in assoluto un valore aggiunto inestimabile. Pensiamo alla pizza che rappresenta il made in Italy per eccellenza eppure il pomodoro è arrivato da noi grazie a Cristoforo Colombo! Possediamo una enorme eredità frutto di incredibili e sinergiche ibridazioni, occuparsene, significa entrare a fare parte di una storia millenaria ed essere cittadini partecipi e consapevoli di quale impatto sociale positivo per la collettività possa continuare ad avere un’istituzione culturale come un teatro, un museo, un sito archeologico grazie al contributo di ognuno. Perché il mecenatismo dei giorni nostri, si deve tradurre in investimento culturale con il quale s’intende, per un privato, non solo l’ottenimento di benefici fiscali o visibilità pubblicitaria ma l’essere protagonisti di un processo che incide nello sviluppo sociale, economico ed occupazionale. In Italia insomma l’invito è quello di pensarci di più comunità perché come diceva Albert Camus “senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.”