Ogni scatto della testa, sussulto delle anche, tamburellare dei piedi, ogni ondeggiare delle dita, delle spalle, del corpo tutto, ogni battito della musica e del cuore in “Bob Fosse Dancin’ ” è piacere, gioia di vivere, sensualità al suo apogeo.
Creato nel 1978, il musical non ha trama. E’ stato dimostrato che la trama fa male alla salute, spiega scherzando nell’introduzione un danzatore prima dell’esplosione di musica e danza, ma l’idea di un musical senza storia ai tempi non era piaciuta ai critici. Ad accettarla con entusiasmo fu il pubblico: lo show rimase in scena per 4 anni vincendo 7 nominations ed un Tony per la coreografia a Fosse. Anche stavolta, nel riallestimento ad opera di Wayne Cilento, uno dei ballerini della produzione originale, il pubblico sembra gradire moltissimo di non dover seguire la trama. Ogni numero è segnato da applausi, ogni sequenza da esclamazioni di entusiasmo.

“Lo show è sul puro piacere della danza – aveva detto Fosse allora – Dopo tutto quando vai a vedere una serata di balletto non ti aspetti che una coreografia abbia niente a che fare con l’altra, no? I brani funzionano da soli o non funzionano, ho la sensazione di scuotere delle rigide regole in termini di come dovrebbe essere un musical: al diavolo! Io do il meglio di me.”
Molti i tentativi in questi 45 anni di rimettere in scena il musical, tutti falliti. Stavolta l’allestimento gode dell’ok della figlia di Fosse e Gwen Verdon, Nicole, è stato ridotto da tre a due atti, ma sono stati inseriti brani da altri show di Fosse. Come un montaggio da “Big Deal on Madonna Street”, un numero rielaborato, “Big City Mime”, per il quale Cilento ha assemblato pezzi da “Pippin,” “Sweet Charity,” e “Liza with a Z”.
Una delle caratteristiche che più colpiscono nello show, è l’eterogeneità dei danzatori. I 22 ballerini hanno dai 19 ai 45 anni, appartengono ad ogni etnia, altezza, taglia e genere, sono gay, non binari, compongono cioè un panorama umano molto diverso come è la società oggi, in particolare a New York.

Il corpo del danzatore è uno strumento, spiega una danzatrice nel primo atto, interpretando il suono di ognuno. Ho scelto di danzare e non farei altro, dice sostanzialmente un altro alla fine del secondo: è stato così per Fosse, è stata la sua vita, la sua filosofia. Danzare fino allo spasimo, coreografare 24 ore al giorno, bevendo scotch, tirando coca, cambiando donne, compagne, mogli, come ha confessato alla rivista Rolling Stone, senza fermarsi mai, per divorare la vita. Nato in una famiglia musicale, il padre lavorava nel vaudeville, la madre suonava il ragtime, Fosse ha cominciato ragazzino a ballare nei night club di spogliarelliste di Chicago per pagarsi le lezioni di tap, ed esibirsi in un duo di tap, i Riff Brothers. Non ha più smesso di ballare, poi coreografare e dirigere. Nel ’61 in un musical contro la guerra “The conquering hero”, ha coreografato un pas de deux per due danzatori vestiti da marines. Scandalo! Membri del Congresso hanno protestato all’idea che i marines potessero essere rappresentati come gay e i produttori lo hanno licenziato. Era avanti nei tempi. In “Dancin’ ” c’è un pas de deux fra un uomo e un trans e il pubblico ha molto applaudito.
Bellissimo il primo numero del primo atto, dopo la coreografia iniziale, ambientato in una prigione. “Recollections of an Old Dancer,” è un omaggio all’eredità della danza dei neri americani, lo spirito di Bill Robinson danza quasi un controcanto insieme al prigioniero. Fantastico l’inizio del secondo atto “Sing, Sing, Sing,” sulla musica di Louis Prima resa famoso da Benny Goodman. Non funziona “America”, la sequenza patriottica del secondo atto e altri brani, ma sono in minoranza rispetto alle coreografie che fanno venire voglia di alzarsi dalla poltrona e ballare, in un rito liberatorio collettivo. E cosa chiedere di più ad uno show se non due ore di divagante piacere?
