Come si riesce ad arrivare ai vertici della Robotica mondiale? Abbiamo cercato di scoprirlo intervistando Cecilia Laschi. Una storia, la sua, che racconta di come lo studio e il talento, uniti alla forte passione per il proprio lavoro, possano far raggiungere risultati da top player. Una piccola rivoluzione nel settore: la Robotica cosiddetta soft, cioè realizzata con materiali morbidi e flessibili in grado di interagire in modo più sicuro con l’uomo e gli agenti esterni, e’ cresciuta con lei rapidamente a livello internazionale, rappresentando una delle aree di frontiera.
Robotica: un termine scientifico che indica un mondo tanto complesso, dove le donne sono presenti solo al 15%. Da dove iniziare a comprenderlo meglio? “Robotica indica in effetti molte cose” esordisce la scienziata, attualmente Professore alla National University of Singapore, nel Dipartimento di Ingegneria Meccanica. Laureatasi in Scienze dell’Informazione all’Università di Pisa trent’anni fa, ha ottenuto il Dottorato di Ricerca in Robotica dall’Università di Genova nel 1998. Una lunga esperienza sul campo, con interessi di ricerca che riguardano la Biorobotica. Al momento, si sta occupando a fondo della soft Robotics: l’uso di materiali soft per costruire robot. Si interessa anche della Robotica umanoide, con l’applicazione di modelli neuroscientifici su robot.
Come possiamo descrivere il mondo della Robotica?
Sicuramente è un mondo interdisciplinare e molto inclusivo. La Robotica e’ nata in ambito industriale, e i robot che lavorano nelle fabbriche sono quelli che fanno davvero parte della nostra vita, anche se non li vediamo: costruiscono la maggior parte degli oggetti che usiamo quotidianamente. Ben presto si e’ provato a usare le stesse tecnologie anche fuori dalle fabbriche, e i robot sono stati utilizzati in ambienti proibitivi per l’uomo (dalle profondità marine allo spazio) e in servizi utili, incluso l’ambito biomedico (in chirurgia, nella protesica, in riabilitazione, nell’assistenza).

Quale è stato il punto di svolta della sua esistenza?
Credo che la mia tesi di laurea abbia rappresentato un crocevia importante. Ho studiato Informatica a Pisa: mi piaceva la matematica. La mia tesi di laurea in Robotica, nei laboratori della Scuola Superiore Sant’Anna, mi ha permesso di constatare come la teoria diventasse qualcosa di concreto. Un robot e’ infatti un oggetto fisico che interagisce con il mondo fisico, e questo va ben oltre il vedere girare un programma in un computer.
Quale percorso di studi è consigliato per lavorare attorno a questa disciplina?
Ho costruito la mia carriera accademica nella Bioingegneria. Prima come ricercatrice e in un secondo momento come professore associato e ordinario, sempre alla Scuola Superiore Sant’Anna, eccetto per un periodo di un anno in Giappone. A Singapore sono arrivata da un paio d’anni, con la stessa posizione di professore ordinario. Non esiste un percorso prestabilito per lavorare in questo campo. Proprio per la sua interdisciplinarità, ci si può arrivare da strade diverse. Dall’informatica, come nel mio caso, alle varie ingegnerie. Partendo anche dalle scienze sociali: la Robotica ha importanti implicazioni che esulano dall’ambito puramente tecnologico.
Quali nazioni al mondo sono più interessate alle nuove frontiere della Robotica?
L’Italia è leader nella Robotica industriale, nella Robotica soft e nella ricerca, ma si è fatta raggiungere da Paesi che hanno investito di più. Anche gli Stati Uniti sono al top. Spiccano ad esempio Harvard e Stanford. Singapore e’ uno dei Paesi con la maggiore densità di robot industriali”.
Perché menti brillanti come la sue sono purtroppo costrette ad emigrare?
L’Italia investe molto nella formazione universitaria, ma non completa il processo investendo anche nella ricerca. Le ragioni sono molte, essenzialmente culturali. Con il PNRR sembra che le cose stiano un po’ cambiando, e gli investimenti in ricerca e posizioni per giovani ricercatori sono attualmente in crescita.

Lei ha inventato Octopus. Come è nata questa idea?
“OCTOPUS e’ stato un progetto finanziato dalla Commissione Europea, guidato da me ma svolto da molti gruppi di ricerca in diversi Paesi europei. L’idea è all’origine nata con una collega, Barbara Mazzolai. Una biologa marina che si occupa di Biorobotica. All’epoca ci trovavamo entrambe alla Scuola Sant’Anna a Pisa. Mettendo insieme competenze e visioni diverse, abbiamo affrontato la sfida di capire come funziona un polpo, provando a riportare su robot alcuni principi per la locomozione, la manipolazione e la nuotata. Robot che andavano completamente inventati: nessuno sapeva all’epoca come costruirne uno che si allunga e si accorcia come appunto fa un polpo. Octopus può essere usato per condurre ricerche e salvataggi sottomarini. Con i robot morbidi si ottengono movimenti più efficienti che riducono la resistenza dell’acqua. Qui a Singapore sto continuando a studiare.
L’Europa premia le idee scientifiche?
L’Europa ha ottimi programmi di finanziamento della ricerca, con meccanismi accurati e complessi per la valutazione dei progetti. Tutto corretto e trasparente. Ci sono però alcuni punti deboli in questo processo, con uno spreco di idee e di tempo da dedicare alla ricerca. Le proposte di progetto sono documenti completi, complessi e di un livello di qualità superiore a qualsiasi altra parte nel mondo, ma questo non è bilanciato da un adeguato valore di finanziamento dei progetti stessi. E spesso c’è insufficienza di budget. E i competitors ne risultano avvantaggiati.
A che livello di sviluppo si trova la ricerca in Robotica negli Stati Uniti?
Raggiunge livelli molto elevati. Il sistema accademico e’ un po’ diverso da quello italiano. La ricerca è più individuale, e questo mi piace meno, ma le opportunità di finanziamento sono migliori. E’ un sistema molto competitivo, dove i progetti sono più semplici da preparare e il sistema di valutazione e’ organizzato in modo tale da finanziare tutti i progetti buoni e portare le proposte non finanziate ad un livello migliore. Magari per una prossima occasione di finanziamento.
Tornando indietro, rifarebbe tutto uguale?
E’ sempre difficile fare un bilancio della propria vita e valutare se le scelte fatte sarebbero potute andare diversamente. Nel mio caso, direi che ho dedicato molto tempo al lavoro, forse sacrificando altri aspetti della mia vita. Ma sento anche di aver fatto molte cose che mi appassionano, oltre al lavoro. Un bilancio tutto sommato positivo.
Le piace New York?
A New York sono molto legata. Ho vissuto con molta emozione le vicende legate all’attentato alle Torri Gemelli. Nel tempo, ho visto i cambiamenti di questa città, dove ho vissuto per un periodo e dove sono tornata più volte. Una città unica.