La presentazione del suo film è al Consolato Italiano, l’invito ci parla di uno scrittore e regista italo-angolano, ma quando incontriamo Antonio Dikele Distefano, scopriamo che di italiano lui ha certamente la lingua, la cultura, le abitudini, i luoghi dove è cresciuto, la gente che ha frequentato, le città che ha visitato, i rapporti di lavoro che ha creato, ma la cittadinanza no, quella la legge italiana non gliel’ha mai concessa. “Certo che sono arrabbiato – mi dice quando gli chiedo cosa prova per il fatto che nato a Bursto Arsizio e cresciuto a Ravenna, sei libri pubblicati in italiano, una serie televisiva di successo e ora anche un film, abbia ancora un passaporto dell’Angola – sono arrabbiatissimo e non solo per me, ma per i miei eventuali figli, nipoti, ma cosa si può fare? Io posso continuare a raccontare storie, a denunciare questa cosa perché tutti la conoscano, perché la maggior parte della popolazione non sa realmente come stanno le cose. Mi chiedono: ma come, non sei italiano? Si stupiscono, e questo mi fa capire come la società sia più avanti della politica e delle leggi. Quindi continuare a parlarne perché si sappia che stiamo vivendo in una grandissima ingiustizia e non è questione di governo di destra o di sinistra perché paradossalmente il governo di sinistra è peggio: ti accolgono, ti stringono la mano poi non ti ricevono più.

Antonio Dikele Distefano, figlio di genitori immigrati dall’Angola, ha cominciato con la musica, era un rapper di nome Nashy, nel 2014 ha pubblicato il suo primo romanzo in selfpublishing, poi ne ha scritti altri cinque editi da Mondadori, nel 2016 ha fondato Esse Magazine, rivista digitale sulla musica, poi è arrivato Zero, serie televisiva per Netflix, la prima in Italia che parla dei ragazzi di colore, e ora questo film Autumn beat scritto e diretto da lui.
“Il film racconta la storia di una famiglia che cambia in trent’anni, di due fratelli che amano la stessa donna e hanno lo stesso sogno, voler sfondare nella musica. Uno canta e l’altro scrive, si promettono che se mai arrivassero ad un contratto importante svelerebbero che dietro c’è il fratello che scrive, ma questa promessa non viene mantenuta e da lì si sviluppa la storia.
L’idea come è nata?
È difficile dirlo perché tutte le idee che ho vengono dallo scambio con le persone che fanno parte della mia quotidianità. Io rubo dalla vita. Quindi non so come è nata, so che durante la pandemia tra le mie note ho trovato questi appunti e ho pensato di provare a svilupparli, dopo tre mesi ho finito il trattamento e l’ho portato alla casa di produzione, da lì il progetto è partito.

Sei reduce da un tour degli Stati Uniti per presentare Autumn Beat nelle università: perché lo hai fatto?
Per me, per capire se ero capace, se le persone che non mi conoscono apprezzavano il mio lavoro. Il risultato è stato positivo e questo mi ha portato a pensare che forse potrei fare il regista nella vita…
È stato difficile arrivare al successo?
Io penso che bisogna capire quali sono i goal di una persona, per me non sono mai stati il riconoscimento, il successo, ma avere la possibilità di esprimermi e di uscire dalle condizioni in cui stavo, in qualsiasi modo. Questo mi ha portato a non avere paura di sbagliare perché partivo che non avevo niente da perdere e oggi mi fa continuare a volermi esprimere. Se il goal fosse stato avere successo o fare soldi mi sarei spento molto prima, quindi non so come ho ottenuto quello che ho ottenuto, so che un modo per far sì che certe cose accadano è buttarsi avere coraggio e mirare più che al risultato al processo.
Hai detto volevo andare via dalle condizioni in cui stavi: quali erano?
Penso che i soldi non fanno la felicità però ti permettono di vivere, di essere triste dove vuoi, che non è tanto male. I miei genitori avevano molti debiti, vivevamo in una condizione difficile e io non volevo vivere quella vita, quindi avevo la volontà di andarmene da lì in ogni modo, oggi vivo con la paura di poterci tornare perché i traumi te li porti dietro sempre. E oggi ho molto da perdere.
Hai 30 anni e mostri già grande sicurezza e maturità
Non so se sono una persona matura. Ho sempre avuto una passione per l’osservare, per esempio i miei amici, io non bevo e quando li guardavo bere mi chiedevo: ma quella cosa a cosa porta? Poi crescendo incontravo persone molto più note di me e mi chiedevo: come è possibile che queste persone soffrano? Hanno tutto quello che vogliono. Poi capisci che magari soffrono per mille motivi però con questi quesiti ho capito dove puntare i miei obiettivi.
Su cosa lavori ora?
Su una serie che denuncia le cose che dicevamo prima, il problema della cittadinanza e altro, ma soprattutto lavoro ad essere felice.