Non più solo storia e personaggi storici per imporsi come artisti di valore, ma libertà di espressione: questo è l’impulso che ha spinto i macchiaioli a cercare uno stile diverso da quello imposto dalle convenzioni accademiche e sociali dell’epoca. Piuttosto scenari di vita vissuta, reale, vicina al quotidiano in contesti di ogni tipo e valore. Realismo e paesaggi che appartengono a tutti e che ritroviamo nelle opere in mostra a Palazzo Blu, forse trascinandoci in quegli anni come fossero molto più vicini di quanto immaginiamo.
Un excursus storico che racconta le vicende e la società di quel periodo, così come le avevano vissute quei giovani più o meno ventenni che erano Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi e altri, ai quali si unirono poi, il napoletano Giuseppe Abbati, i veneti Vincenzo Cabianca e Federico Zandomeneghi, il ferrarese Giovanni Boldini, il romagnolo Silvestro Lega e altri, quando si incontravano al Caffè Michelangelo, nel 1855 a Firenze.

In quel luogo nasce la loro identità artistica, progressista e animata da profondi valori patriottici, aperta alle nuove tendenze internazionali, alla comprensione degli stili che gli artisti stranieri, seppur occasionalmente, portavano in Italia. Il gruppo dei Macchiaioli resta un pezzo di storia. Di vita dell’Italia unita e libera. Che “risorge” e ricorda la passione e la bellezza e che nasce, ne sono certa, dal fervore, dai valori e gli ideali che seguono al romanticismo italiano, alla primavera dei popoli, ai moti rivoluzionari del 1848. Così i Macchiaioli si impongono con la loro identità, svincolata da formalità estetiche, alla ricerca di una verità più vicina all’uomo comune (l’antieroe), ma ricco di un’etica e di una morale autentica e sentita, che caratterizza tutto il Risorgimento. Un’avanguardia nata nel 1850, che ha posto le basi e aperto la strada a correnti che hanno fatto la storia dell’arte internazionale e che, forse, troppo avanguardista per la cultura e la mentalità artistica ottocentesca che ancora imperava in quegli anni.
Una mostra curata nei minimi particolari, con opere rare, cercate e recuperate in tutta l’Italia, egregiamente realizzata dalla professoressa Federica Dini. Un percorso a più sezioni nel quale lo spettatore è condotto nella storia dell’evoluzione di tutta la corrente artistica.
In tutto 11 sezioni a rappresentare la vita vissuta dagli stessi macchiaioli, narrate nelle loro opere: da Lega che dipinge sugli scogli, di Fattori (collezione privata), alle Cucitrici di Camicie Rosse, di Borrani (1863); ai paesaggi di Cabianca in Sul mare (1864); a Signorini con Non potendo aspettare – la lettera (1867); fino a Boldini con Una soffitta a Ferrara (1870).

Durante la conferenza stampa per l’apertura della mostra, ogni intervenuto ha saputo cogliere un aspetto in grado di valorizzare la corrente dei Macchiaioli, dall’attuale sindaco di Pisa, Michele Conti – che ricorda la bellezza di un’arte più realistica, in grado di avvicinare lo spettatore alla propria vita, in cui ritrovare sé stesso, nei paesaggi ritratti, nella storia e nel quotidiano – alle parole del Presidente di Palazzo Blu, Cosimo Braccitorsi e a quelle del Presidente della Fondazione di Pisa, che ha sostenuto la mostra, l’avvocato Stefano del Corso.
Infine la curatrice, la professoressa, Federica Dini, che contestualizza ogni sezione, arricchendola di dettagli e particolari artistici e storico-sociali, in una narrazione perfetta, che meglio non avrebbero potuto definire la grandezza di questa corrente. E afferma “Nessuna luce nella storia dell’arte, ha eguagliato quella accesa dai macchiaioli”.
La fine della corrente si determina con la chiusura del Caffe Michelangelo (1866), sostituita dal giornale Gazzettino delle arti del Disegno fondato e diretto dal critico Diego Martelli al fine di spaziare oltre quel luogo fiorentino e di aprirsi a livello europeo. Ma il tentativo di Martelli non dura a lungo e già dal 1970, l’attività dei Macchiaioli si affievolisce: anche Giovanni Boldini lascia l’Italia insieme a Zandomeneghi, De Nittis e De Tivoli, determinando l’inizio della seconda generazione dei macchiaioli, tendenti a un naturalismo lirico più che a un realismo sociale.
Sono ricchi di sensibilità e poesia come si evince Signora nel parco di Federico Zandomeneghi (1870), Una madre Silvestro Lega (1884), Mattutino di Cabianca (1901) e altri ancora. Una mostra che restituisce il giusto valore a una corrente che ha dato inizio alla pittura moderna e che, forse, non è stata abbastanza compresa.
Da non perdere. A Pisa, Palazzo Blu fino a febbraio 2023.