Arminuta è un romanzo di Donatella Di Pietrantonio, pubblicato qualche anno fa; un prodotto letterario pluripremiato (ha vinto all’epoca anche un Premio Campiello) che ha ispirato la pellicola cinematografica omonima appena andata in scena al Festival del Cinema di Roma. Nel caso in cui non si fosse letto il volume – se è vero il detto per cui i film non riescono quasi mai a reggere la qualità ed il fascino dei libri di successo dai quali sono ispirati – in questo caso viene invece immediatamente voglia di comperarlo e verificare: la pellicola Arminuta è infatti già un piccolo capolavoro, che narra una storia sospesa nel tempo, di rara bellezza e toccante poesia, e che debutterà il prossimo 21 ottobre nelle sale italiane. La regia è di Giuseppe Bonito, mentre la sceneggiatura è di Monica Zapelli e della stessa autrice del romanzo.
Partiamo dal titolo: un vocabolo dialettale abruzzese che identifica la protagonista, una ragazzina adolescente dai lunghi capelli rossi e dall’incarnato diafano, impersonata dalla brava Sofia Fiore.
Il significato? Più o meno “restituita”, “ritornata”. Approfondendo al riguardo, in particolare si apprende che il termine allude ad un rientro controvoglia, al pari di qualcosa che viene rimesso in maniera forzata in un luogo che non è il suo; un luogo a cui si fa fatica ad abituarsi. La storia è semplice quanto misteriosa (solo verso la fine si svelerà il vero motivo del ritorno): l’Arminuta (non è dato conoscere altro nome per la protagonista) un giorno viene accompagnata, da colui che fino a quel momento è stato il padre, in una casa dalla quale non sapeva in realtà di provenire per nascita. Due madri, due padri, due famiglie. Attorno al dualismo ruota tutto il film. Una famiglia che credeva la sua, che la restituisce ad una famiglia che per nascita le spetta, ma che lei non conosce e all’inizio neanche vuole. Alle domande della Arminuta nessuno dà risposte precise. Le viene detto che la famiglia d’origine la reclami, ma la ragazzina crede che la madre sia malata e la restituisca per questo; già da subito, però, capisce che quanto è veramente accaduto le viene taciuto. E non sarà dato saperlo – né a lei né allo spettatore – per quasi tutta la durata del film (poco meno di due ore).
Cosa si prova ad essere catapultati, un giorno qualunque, in un universo parallelo di cui non si conosceva l’esistenza, ma che improvvisamente ci fa precipitare in un’altra quotidianità? Da una casa ricca ad una casa povera; da una prima madre, Adalgisa (impersonata da Elena Lietti, figura attoriale del film che rifulge poco nella incisività che riesce a regalare al suo personaggio), alla madre naturale impersonata dall’attrice Vanessa Scalera, che si cala invece con convinzione e resa nella figura della donna stanca di una vita di fatica e stenti, rassegnata, tra dolori e rimpianti, con altri 5 figli messi al mondo (oltre alla protagonista), e con un marito autoritario e severo, impersonato dall’attore Fabrizio Ferracane (il quale, dietro modi rozzi e a tratti violenti, rappresenta simbolicamente il mondo patriarcale che ancora vive in certe subculture contadine).
Applausi al team che ha affiancato la regia: davvero bravo il direttore della fotografia (Alfredo Betrò); le immagini restituite all’osservazione assomigliano infatti a quadri d’autore delicati, dai colori pastello (talvolta bucolici, talvolta con sfondi cittadini);alcune scene potrebbero ricordare anche fotografie minimaliste di Luigi Ghirri. Sicuramente, composizioni e dettagli non sono mai lasciati al caso, ed hanno una potenza espressiva degna di nota, con azzeccati accostamenti cromatici sia di abiti che di ambienti.
Stessa maniacale attenzione è riservata nel film alla scenografia (a firma Marcello di Carlo) e ai costumi (a cura di Fiorenza Cipollone); questi ultimi fanno ben capire allo spettatore che l’ambientazione del film è Anni 70/80. Le riprese registiche sono sicure ed hanno un ritmo narrativo che non cala mai di tono.
Nel film, centrale è la contrapposizione dualistica. Dualismo dello status economico delle due famiglie, ma anche delle ambientazioni (città/campagna). Si rincorrono per tutto il film i sentimenti di bene e male. Rimpianto e rimorso, passato e presente, speranza e tormento, dialetto e lingua italiana, scene di giorno e scene di notte. E così via, in una giostra della vita in cui la protagonista, esattamente come la giostra dove lei sale ad un certo punto del film, si mette a girare, girare, girare…accompagnata dalle due figure di fratelli per lei determinanti (gli altri tre sono delle comparse), cioè l’attore Andrea Fuorto (il diciottenne sognatore in cerca di libertà, noncurante delle regole e delle botte paterne, che prima di uscire di scena farà in tempo a provocare turbamenti nella Arminuta a causa di una attrazione verso la ragazzina) e soprattutto la sorellina minore Adriana, che è il pezzo forte della pellicola: un talento naturale, il suo, che al secolo corrisponde al nome di Carlotta De Leonardis (siamo sicuri che ne risentiremo parlare: è proprio brava; la migliore, considerando che è davvero giovanissima).
“Io non sono un pacco, e voi dovete smettere di spostarmi di qua e di la’”: Arminuta che è divisa in due, che non capisce; che ha due madri e due padri ma non appartiene a nessuno; che vorrebbe di nuovo la sua vita, le sue amicizie, il suo mare cittadino…ma che nel frattempo vive anche il richiamo del DNA, delle sue origini e delle contraddizioni primordiali. Arminuta che piano piano inizia a percepire una nuova realtà, rifiutata ancora in parte ma in parte accettata (in questo, la figura della sorellina Adriana è fondamentale). Il film si gioca molto con gli sguardi dei vari protagonisti; con i silenzi di intesa, di imbarazzo o di vergogna; con i gesti (si va dalla rabbia all’ affettività celata ; al riguardo, colpisce ad esempio la tenerezza di alcuni momenti tra figlia e madre naturale, dopo tanta difficoltà iniziale a lasciarsi andare al legame del sangue).
Le musiche originali del film sono d’Autore, ed esattamente di Giuliano Taviani & Carmelo Travia, facenti parte della Associazione Compositori Musica per Film a presidenza onoraria di Ennio Morricone. Delicatissima questa colonna sonora della pellicola; rimane particolarmente impressa la melodia del violino, che regala un mood dal sapore romantico ed avvolgente.
Interpellato al riguardo dalla nostra testata, Giuliano Taviani si è così espresso: “Durante la scrittura delle musiche, già dalle prime scene montate che ci sono arrivate, io e Carmelo abbiamo avuto la consapevolezza di trovarci di fronte a un gran bel film. Un film intenso, doloroso. Con uno stile rigoroso, dove il dolore viene raccontato più con gli sguardi e i silenzi che con le parole. In questo contesto anche la musica, di matrice minimalista, entra in punta di piedi, convivendo con le pause ed i silenzi. Anche la musica ha una valenza dualistica, come e’ il tema centrale del film. Da una parte un colore musicale costruito sugli armonici di un quartetto d’archi. Un colore freddo, stemperato dalla melodia del vìolino solo. Dall’altra parte – durante i flashback della vita passata – un colore caldo, rotondo, ottenuto con il timbro del sassofono”.
Parafrasando il titolo, il Cinema italiano è finalmente “ritornato” ad un prodotto di grande qualità, riunendo tanti talenti in una sola pellicola. Non sveleremo il finale, tutto da gustare. Alla fine, cosa resta a chi guarda questo film? Che si puo’ solo andare avanti, nella vita, cercando di vedere che esistono misteriose opportunità nelle difficoltà del destino. E che niente è scritto per sempre da fuori, ma che tutto si può riscrivere da dentro.
Ci auguriamo che Arminuta abbia il successo che merita; al momento, evidenziamo che è inserito nella short list dei film italiani tra i quali verrà scelto il candidato agli Oscar.