Mentre dall’Istituto Italiano di Cultura ci comunicano il nome del prossimo direttore, Fabio Finotti, abbiamo intervistato il direttore uscente, ovvero colui che ha diretto l’Istituto a New York durante la pandemia, Paolo Barlera.
Non temiamo più solo il virus, ma anche tutta una serie di circostanze che hanno cambiato e stanno cambiando nuovamente le nostre abitudini e limitato pesantemente la nostra libertà. Soprattutto, circostanze che ci impoveriscono a livello umano e relazionale.

Ma se è vero che il Covid è chiusura, paura, staticità, decadimento culturale ed economico, è anche vero che ci costringe a utilizzare altre forme di comunicazione, diverse e, che, seppur socialmente distanziate, si rivelano sempre più ampie.
Questo è il modo in cui ho avuto l’opportunità di conoscere Paolo Barlera, direttore ad interim dell’Istituto Italiano di Cultura a New York, alla fine del suo mandato. Originario della bassa mantovana, dopo la laurea in filosofia conseguita all’università di Bologna, si trasferisce nella Grande Mela per un dottorato alla NYU – New York University. Negli anni ricopre vari incarichi diplomatici ed editoriali. Inizia la sua esperienza nell’Istituto nel 1998. Nel 2012 si trasferisce a San Francisco per dirigerne la sede. Poi è alla volta di New York e, oggi, gestisce e promuove la cultura italiana anche in piena pandemia.
Ci incontriamo su Zoom:
Direttore cosa sta accadendo all’arte e alla cultura italiana a New York?
“Il periodo ci impone di restare prudenti. Pertanto, non possiamo che concentrarci sulla valorizzazione della cultura e dell’arte italiana tramite web, con programmi da noi prodotti, realizzati all’interno dei locali della nostra sede, trasmessi sul nostro canale youtube, mettendo a disposizione le conoscenze, competenze e i contatti dell’Istituto”.
Come è accaduto per il programma ideato da Maurita Cardone, Until Further Notice e la rassegna jazz, With Jazz We Insist, curata da Luca Santaniello? Iniziative entrambe prodotte, realizzate e ospitate dall’IIC. Stanno riscuotendo molto consenso. Forse, si riferisce anche ad altre iniziative?
“Siamo partiti con il programma relativo a quello che stava accadendo al mondo dell’arte contemporanea, ideato da Maurita Cardone, che è molto apprezzato e sta riscontrando una certa visibilità. Gli incontri si stanno dimostrando utili a creare relazioni e contatti che un domani – speriamo molto prossimo e in condizioni normali – potranno concretizzarsi e dare qualche opportunità maggiore ai nostri artisti e promuovere l’arte italiana a New York e nel mondo.
Riguardo alla rassegna di musica jazz possiamo dire che è appena partita e che il primo concerto ha avuto riscontri molto promettenti. Peraltro, venerdì prossimo si terrà la seconda esibizione nel quale suonerà il Chiara Izzi Trio – Songs of Land and Sea – con la voce di Chiara Izzi, Gleen Zalesky al piano e Nicola Corso al basso.
Infine, sì, stiamo definendo altri progetti, anche relativi alla letteratura, ma per ora non vorrei anticipare nulla”.

Direttore come vengono scelti gli artisti che coinvolgete in queste iniziative?
“La ratio è cambiata, perché prima del Covid si tendeva a investire su personaggi del settore dell’arte e/o dello spettacolo che vivevano in Italia e chiedevano supporto o una collaborazione all’Istituto qui a New York. Adesso cerchiamo artisti italiani che sono già qui, spesso poco valorizzati. Modalità che si sta dimostrando significativa perché stiamo scoprendo e promuovendo grandi talenti. Guardiamo i giovani come espressione del presente e della contemporaneità, al passo con i tempi e gli stili. La rassegna jazz, ad esempio, With Jazz We Insist, è fatta di professionisti con una grande caratterizzazione dei gruppi, tutti ragazzi che hanno già vissuto in tante città del mondo, non solo in Italia, con una formazione ben definita, internazionale, oltre che di alto livello. Puntiamo, dunque, anche sulla internazionalità”.
A Lei Paolo, piace il jazz?
“Sì, devo dire che è uno dei generi musicali che preferisco. Sono stato contentissimo di occuparmene, ospitando in sede e valorizzando gruppi jazz italiani. Peraltro, percepire la voglia dei musicisti di suonare ed esibirsi rende nuovamente viva l’arte, anche se solo attraverso un monitor e con i limiti relazionali che uno schermo impone”.

Mi sembra che l’Istituto Italiano di Cultura sia uno dei pochi a valorizzare l’arte e la cultura italiana in questo momento storico.
“Direi che questo è il nostro compito. Ci impegniamo per farlo in condizioni normali, ci proviamo anche adesso, non limitandoci solo alla cultura e all’arte classica, ma anche a quella contemporanea. Ma direi anche che siamo in buona compagnia: i colleghi degli altri Istituti di cultura condividono questo sforzo e qui in Nord America abbiamo già sperimentato collaborazioni che coinvolgono l’audience di tutta l’area”.
Ciò che mi auguro è che spero che altri soggetti ed enti promotori si impegnino a valorizzare l’arte – non solo quella italiana – qui e ovunque e, comunque, a svegliarla da questo torpore imposto.
“Ce lo auguriamo tutti”.
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L’intervista su Zoom si conclude. Penso che questo periodo di Covid possa dare originare ad opportunità che diversamente non si creerebbero. Come la mia conoscenza con Paolo Barlera, Luca Santaniello, Maurita Cardone e molti altri. Credo che in condizioni normali non ne avrei avuto la possibilità, almeno non avrei potuto farlo da qui, dal mio divano nella mia casa, di notte, mentre i miei bambini dormono, mio marito legge un libro e io sorseggio un the davanti ad un computer. Non credo sarebbe mai sorta l’esigenza di instaurare un contatto a distanza. E seppure privo di tutta l’energia che una relazione in presenza può dare, il contatto via web annienta qualsiasi limite spazio-temporale. Motivo per il quale, il giovedì e il venerdì sera, nei giorni previsti dal calendario dell’Istituto Italiano di Cultura, mi collego anche io per non perdermi gli spettacoli e i meeting trasmessi gratuitamente sul canale youtube dell’Istituto. Dunque, stay tuned!