L’altro giorno ho fatto quarant’anni (Laurana Editore) è il titolo del libro del giornalista Lucio Luca, classe 1967, nato a Ragusa ma residente a Roma. Da oltre vent’anni scrive di cronaca nera, giudiziaria e sportiva per La Repubblica e ha già pubblicato Prove tecniche di trasmissione nel 2006 per Sigma Edizioni, Il killer dell’ufficio accanto nel 2008 per Pietro Vittorietti Editore e Dall’altra parte della luna nel 2014.
Questo “romanzo” racconta la storia di Alessandro Bozzo, giornalista calabrese, morto per amore del giornalismo, a cui si era dedicato anima e corpo, credendo a questo sogno che alla fine lo porterà fino a togliersi la vita. Ha cercato per tutta la vita di svolgere dignitosamente la professione del giornalista, che ancora oggi è piena di incertezze, voragini e ingiustizie che mettono quotidianamente con le spalle al muro tanti professionisti che esercitano con tenacia il mestiere più bello del mondo.
Alessandro voleva fare il giornalista da uomo libero, voleva continuare ad essere libero di essere se stesso. Quando però la sua libertà viene meno, la sua passione viene fermata proprio dal proprietario del giornale in cui lavorava, in cui aveva deciso di restare per amore del suo lavoro, della sua famiglia. Quello stesso proprietario che non mirava all’informazione libera e giusta ma ai propri interessi.
Alessandro non si faceva condizionare, non prendeva ordini dall’editore ma scriveva e raccontava la realtà che lo circondava, senza piegarsi mai al compromesso politico. Era diventato scomodo, perché non abbassava la testa, mai. Alessandro crolla emotivamente e il cemento sotto ai suoi piedi si trasforma in una voragine enorme che lo trascina in fondo ad un tunnel di dolore e disperazione; non riesce a rialzarsi, non riesce a trovare la forza per ricominciare. E’ deluso, da tutto. Ecco che la sua storia ci insegna che il giornalismo è un mestiere che bisogna fare con la schiena dritta, con dignità e con coraggio, senza alcun condizionamento da parte del potere politico.
Scrive Roberto Saviano nella prefazione al libro:
“C’era un ragazzo che in Calabria decise di fare il giornalista. Lo scelse con lo stesso slancio di un missionario, di un suonatore d’organo, di uno studente di sanscrito. Seguendo una passione incapace di declinarla nell’interesse, di legarla a un salario, mappa la politica, taccia le ‘ndrine, ausculta il cuore pieno di aritmie della sua terra. È bravo, sente che il suo giornalismo può innescare il miracolo della parola che quando incontra il lettore riesce a divenire cambiamento. Il ragazzo ha talento. Lo fermano, lo vessano, lo sottopagano, lo isolano ma lui resiste. Sa che ciò che fa è più grande della miseria che subisce. Si aspettava tutto questo ma poi qualcosa si rompe. E tutto lo schifo che lo assediava e il dolore che montava da dentro le fibre lo inghiotte. Per sempre”.
Oggi il giornalismo è radicalmente cambiato rispetto al passato, anche i lettori sono cambiati; ci sono sempre meno edicole, il giornale cartaceo diventa ogni giorno un acquisto che si concedono in pochi e non ci sono più i gruppi di lettura che si riuniscono attorno ad un tavolo, in un caffè, per sfogliare il quotidiano e commentare le notizie. Un tempo la piazza era il megafono delle informazioni che radunava attorno ad un tavolo per leggere i quotidiani, tra mezzo dito di amaro in un bicchiere di vetro e un timido boccone di pane strappato fugacemente dal sacchetto di carta portato sottobraccio. Era anche questa la quotidianità in cui viveva Alessandro Bozzo, tra la gente che non aveva alcuna paura di osservare il cielo e qualche nuvola di pioggia all’orizzonte, che amava raccontare e raccontarsi, che amava aprire le porte della propria casa per riferire al cronista di turno una circostanza in merito ad alcuni casi di cronaca.
Oggi invece la piazza assume quotidianamente le dimensioni di un 17 pollici, attraverso uno schermo piatto e un carica batterie per alimentare il motore. Niente più vicini fragorosi, niente più mezzo dito di amaro poggiato al tavolo di un bar in piazza. Niente di niente. I social network rappresentano la nuova piazza, il nuovo megafono in cui viene manifestato il libero pensiero, dove tutti leggono qualcosa, sentono qualcosa e vedono qualcosa senza minimamente considerare l’attendibilità delle notizie e le commentano con la stessa padronanza del linguaggio di un Giudice della Corte Suprema di Cassazione. E’ cambiato anche il mondo del giornalismo e oggi viene sempre meno l’interesse la ricerca delle fonti e delle informazioni. Molti giornalisti non bussano più alla porta del vicino ma lo contattano su facebook, gli chiedono le informazioni tramite un messaggio e annullano ogni tipo di interazione e neppure mettono in discussione le linee editoriali del giornale in cui scrivono, non osano lamentarsi. Un tacito assenso, latente. Alessandro, invece, era un giornalista coraggioso, che diceva spesso di no al suo direttore e al suo caporedattore e che sapeva svolgere dignitosamente il proprio lavoro, con impegno.
Noi abbiamo intervistato Lucio Luca, autore del libro.

Chi era Alessandro Bozzo?
“Era un giornalista quarantenne di Cosenza che fin da ragazzo aveva deciso di raccontare la sua terra. Lo aveva fatto sempre con la schiena dritta, senza farsi condizionare da nessuno. Ha provato a dare una sveglia all’informazione della sua terra, da sempre piuttosto assopita e vicina ai potenti, fino a quando un editore, il suo editore, ha deciso di licenziarlo e di riassumerlo a metà dello stipendio con un contratto a tempo. Da quel momento è diventato un precario e non ha retto a questa situazione. Fino alle estreme conseguenze”.
Come sei entrato in contatto con questa storia?
“Ho ricevuto una mail di una collega che mi informava della sentenza di un processo per violenza privata contro un editore calabrese per una vicenda legata al suicidio di un giornalista. Mi sono sentito in colpa perché non avevo mai sentito parlare di un collega che aveva deciso di uccidersi per problemi sindacali. Per questo ho contattato amici, colleghi e parenti di Alessandro e ho capito che la sua era una storia fondamentale per capire le dinamiche del giornalismo di questi tempi”.
Cosa ti ha colpito particolarmente di questa vicenda?
“La forza con la quale Alessandro, e tanti colleghi come lui, riescono ad andare avanti facendo bene il proprio lavoro malgrado un panorama editoriale costellato di sciacalli, spesso nei ruoli di vertice dell’editoria. E non parlo solo di editori, anche noi giornalisti, tanti direttori, gli ordini professionali e sindacali, hanno molto da farsi perdonare in questa e altre vicende
Perché hai voluto raccontarla?
“Perché spiega a chi ancora pensa che i giornalisti sono una casta di privilegiati, cosa siamo veramente. Che solo il 23% dei giornalisti italiani ha un contratto e il rimanente 73% non sa nemmeno se riuscirà a mettere insieme il pranzo con la cena. Ecco perché ho creduto che fosse giusto raccontare una storia che era finita nell’oblio e che invece ci rappresenta tutti”.
Che consiglio vorresti rivolgere a tutti coloro che, proprio come Alessandro, hanno vissuto o vivono situazioni analoghe?
“Di denunciare immediatamente chi sfrutta il lavoro, di non arrendersi e di non accettare salari indecenti. Mai”.
Com’è cambiata l’informazione oggi?
“Non abbiamo più il tempo di approfondire e di cercare le storie. Internet ha cannibalizzato tutto. Non è un bel momento per l’informazione, purtroppo”.
Il giornalismo si è evoluto drasticamente in questi anni. Il giornalismo digitale ha notevolmente surclassato la carta stampata. Molte testate non mirano più alla ricerca delle fonti o all’analisi del caso ma puntano ai comunicati. Alessandro, invece, puntava allo studio dei casi. Oggi che cos’è il giornalismo?
“Oggi il giornalismo è molto diverso da quando ho cominciato io. Ma resta l’unica ancora di democrazia in questo Paese. Un Paese senza giornali non è libero, è un regime. Non mi piace il giornalismo di oggi, ma credo sia sempre meglio che il pensiero unico”.
Qual è l’insegnamento più importante che ci ha lasciato Alessandro?
“Che bisogna fare il proprio dovere. Sempre. Anche quando tutto ti farebbe propendere verso il contrario. Lui non ha perso, lui ha svegliato tante giovani coscienze in una terra difficile come la Calabria. Non è poco, per questo dovevo raccontare la sua storia”.
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