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Matera verso il 2019: perché optare per una pianificazione post-moderna

La città, eletta capitale europea della cultura 2019, va incontro a una pianificazione urbana e sociale

Giuseppe FortunabyGiuseppe Fortuna
Matera verso il 2019: perché optare per una pianificazione post-moderna

Matera (Wikipedia).

Time: 7 mins read

Gli studiosi di urbanistica, tramite vari approcci, hanno dedicato attenzione a come meglio utilizzare lo spazio urbano. Questo articolo metterà in rilievo i vari approcci con particolare attenzione alla città di Matera eletta anni fa “capitale europea della cultura nel 2019”. Sin dalla sua nomina c’è stato e ancora c’è un fermento non solo a Matera, ma nell’intera Regione Basilicata su come meglio utilizzare gli aspetti spaziali e sociali della città.

La relazione tra gli aspetti spaziali e sociali delle città sono stati descritti e analizzati  dal paradigma ecologico, da quello politico-economico che recentemente è stato ampliato e da quello post-moderno.  Il modello ecologico sostiene che la crescita urbana avvenga tramite una serie di zone concentriche  di aree residenziali  e industriali, logicamente il territorio più lussuoso è per i ricchi che possono permetterselo.

L’approccio politico-economico, al contrario, ritiene il paradigma ecologico incapace di concentrarsi  sulle contraddizioni del capitalismo, pertanto si concentra su questioni di potere e su come l’elite corporativa e le istituzioni politiche prendono decisioni che favoriscono gli interessi corporativi a spese degli abitanti. Spesso i governi locali vedono le città come luoghi dove è necessario creare un clima di affari aumentando il valore del territorio piuttosto che dedicare attenzione ai valori della comunità, ai bisogni dei cittadini o alla vivibilità della città.

Il paradigma post-moderno rigetta la mentalità moderna che ha bloccato la mente creativa e riconosce le possibilità multiple di spiegazioni. Il modernismo  si è concentrato sulla standardizzazione e omogeneità dei consumi nel senso che l’individuo legge, veste, pratica ciò che tanti altri fanno. In altre parole si è basato  su ordine, razionalità, uniformità, standardizzazione; è stato elitista senza spingere per la partecipazione del popolo. Il post-moderno, al contrario, abbandona la standardizzazione e l’omogeneità dei consumi sostituendola con una distinzione individuale entro la società di massa. Cioè, l’impersonalità del modernismo è stata sostituita dalla celebrazione dell’unicità. La pianificazione post-moderna è inclusiva, esige la partecipazione della comunità e la celebrazione dell’unicità.

Credo che la “Fondazione Matera 2019” debba incoraggiare la partecipazione dei Materani che faranno emergere tutte le unicità di Matera rendendola ancora più famosa per le sue peculiarità da essere riconosciuta come “La Città post-moderna”. Nelle sue analisi della città come struttura sociale, l’approccio post-moderno è stato accusato di superficialità, di incoerenza, di localismo. Credo che nell’analizzare la città come struttura sociale non ci sia niente di male nel concentrarsi sul localismo, sul quotidiano. I post-moderni danno importanza allo spettacolo, al consumo, agli eventi locali, al quotidiano, al soggettivo. Nelle loro analisi cercano di dare una voce ai visionari, al popolo. Per loro tutte le voci hanno il diritto di essere ascoltate.

Le città sono caratterizzate anche da una ideologia di “urban growth machine”; cioè, ci sono coalizioni urbane di banchieri, speculatori, agenti immobiliari, managers che influenzano il governo locale affinché si crei un clima imprenditoriale favorevole, un clima di “good business” per fare sì che il valore commerciale della proprietà venga alimentato e favorito a discapito dei bisogni della comunità, ignorando problemi urbani in crescita come traffico, congestione, degradazione dell’ambiente, aumento del costo della casa, degli affitti, del crimine e la perdita del senso comunitario. Questi problemi purtroppo sono evidenti anche nelle piccole città come Matera. Al contrario degli imprenditori e politici, i residenti vedono la loro città e soprattutto il loro quartiere come un posto per vivere, crescere una famiglia. Per loro il quartiere è uno spazio sociale per interagire, socializzare, non uno spazio astratto per trarne profitto. Spesso un conflitto emerge tra i residenti locali e la “growth machine” che di solito si chiede se “riuscirà questo piano regolatore a fare soldi?” piuttosto che chiedersi se “questo piano regolatore è buono per la città e i suoi residenti?”.

Man mano che Matera si avvicina al 2019, la città sta affrontando vari conflitti. Questo articolo vuole fungere da medicina preventiva per ridurre i conflitti e far sì che Matera, nel suo piccolo, sappia creare tante emozioni e diventi una città globale “post-moderna”, visitata e apprezzata sempre più da tanti visitatori italiani e stranieri ma anche da aziende multinazionali. In breve, mi auguro che la “Fondazione Matera 2019” non segua l’ideologia della “urban growth machine” accantonando i bisogno dei residenti.

Le città sono strutture fisiche, sistemi di organizzazioni sociali, un insieme di attitudini e idee; vengono anche definite organismi viventi e come tutti gli organismi hanno bisogno di un’attenzione particolare per mantenere una certa armonia che soddisfi i loro residenti. Gli architetti e pianificatori lo sanno molto bene che un progetto o un piano regolatore ha successo quando riesce ad ottenere il consenso. Pare che  parecchi programmi e progetti sono stati sviluppati a Matera, avranno successo solo se riusciranno a creare un vasto consenso e a ridurre conflitti e tensioni sociali al minimo. Credo che lo scopo principale di tutti i vari programmi e progetti sia quello di dare rilievo a scelte efficaci e capaci di rispondere alle esigenze territoriali.In quesi programmi bisogna dare spazio all’ interazione dei diversi attori in campo che includino, oltre ai membri della “growth machine”, anche i rappresentanti  dei comitati civici e di quartieri. Solo cosi i piani, siano essi strategici, speciali, d’intervento, di tutela ecc., con un’approvazione anche dal basso riusciranno ad essere efficaci e tutte le unicità di Matera verranno fuori.

L’interazione ed il dibattito tra soggetti istituzionali e soggetti privati è indispensabile altrimenti si creano progetti partigiani che usano un elevato sperpero di risorse pubbliche ma che creano un enorme malcontento tra la gente. Credo che la “Fondazione  Matera 2019” dovrebbe prestare attenzione anche  al modello post-moderno dando così voce anche ai cittadini comuni che hanno voglia di partecipare attivamente a questo grande evento storico. Le procedure di consultazione, negoziazione, concertazione e partecipazione degli attori locali alle scelte politiche che soddisfino le esigenze del territorio sono indispensabili. In tal modo si riuscirà a migliorare l’efficacia delle scelte e a generare un ambiente e beni collettivi come infrastrutture (per esempio  la statale 96 che collega Bari e Matera non è ancora efficiente), servizi, come per esempio le Ferrovie Appule-lucane richiedono dei miglioramenti anche perché le Ferrovie Statali non raggiungono la città. Occorre rinforzare delle reti cooperative fra imprese e, al tempo stesso, migliorare la qualità di vita sociale e urbana. Se i progetti e programmi culturali verranno monopolizzati da pochi attori o ristrette oligarchie partigiane rimaranno dei piani sterili e con tanto malcontento.

Le politiche di risanamento, la valorizzazione ambientale, le opere infrastrutturali, il marketing territoriale, la promozione turistica ecc. sono temi rilevanti ma che non devono essere pianificati secondo regole concordate a tavolino da pochi attori, bensì tramite varie discussioni creare coalizione e consenso fra i diversi soggetti e dare a questi progetti e programmi un respiro territoriale più adeguato e collettivo. Soltanto allargando la partecipazione al processo di pianificazione su “Matera 2019” si aumenteranno le possibilità di sviluppare un piano più efficace non solo per la città ma per l’intera Regione ed il Sud.

Purtroppo la storia ci insegna che non sempre le città funzionano bene anzi, spesso, sono affette da seri problemi urbani e non sempre le visioni create da piani urbani sono riuscite a migliorare la qualità di vita urbana. La storia ci insegna anche che le visioni spesso suggerite dall’alto per soddisfare interessi particolari non sono pratiche e beneficiarie per la massa dei residenti. Credo che la pianificazione urbana funzioni meglio quando si concentra su segmenti particolari, specifici dell’area urbana ad esempio un quartiere, un parco, una strada o altro.

La Jacobs, una grande urbanista americana, ha ragione quando ci ricorda che la vita cittadina consiste di una miriadi d’interazioni e la pianificazione non si pianifica ma si inventa con la creatività; è la gente del quartiere che inventa la sua vita nell’adempiere i propri bisogni e risolvere i loro problemi  migliorando cosi la vivibilità della città. La Jacobs difende le iniziative locali, per lei il pianificatore deve solo facilitare la diversità e vitalità e lasciare la gente del quartiere a fare il resto. Il pianificatore, cioè, deve diagnosticare in luoghi specifici cosa manca per generare la diversità e di conseguenza aiutare la gente a creare ciò che manca: diversità e vitalità.

Gli sforzi su piccola scala proposti dalla Jacobs suggeriscono una pianificazione che viene proposta dal basso ed ha più probabilità di successo nel creare concertazione e trasparenza, elementi indispensabili per il consenso. Credo che la pianificazione che viene dal basso basata su realtà specifiche possa essere di grande aiuto ai vari piani provinciali, regionali e urbani. Se vogliamo costruire un futuro migliore per i nostri figli e nipoti dobbiamo essere più pratici, dare cioè spazio alla gente comune per creare piani meno sofisticati e retorici ma più pratici ed efficaci per l’intera comunità materana , per l’intera Regione e per il Mezzogiorno.

I pianificatori post-moderni mettono in rilievo la differenza, la diversità, cercano di dare una voce anche alla gente comune, per loro tutte le voci hanno diritto di essere ascoltate per creare piani che siano popolari, locali, basati sulla quotidianità. Ancora una volta, se il pianificatore moderno è affezionato a piani razionali e forme astratte di élite, il pianificatore post-moderno, al contrario, è per la partecipazione popolare; alla politica di esclusione della pianificazione moderna oppone una politica d’inclusione per creare progetti e spazi pratici che procurano  benefici all’intera comunità, anziché astratti e utopici da cui la “growth machine” è l’unica a beneficiare.

Credo che il comune di Matera e la “Fondazione Matera 2019” dovrebbero ogni tanto organizzare nei vari quartieri ciò che noi in America chiamiamo “Town Hall meetings”, per ascoltare le voci di tanti materani che più di tutti amano la loro città; forse sarebbe opportuno estendere questi “Town Hall Meetings” anche nei vari comuni della Regione, perché “Matera 2019”, come si dice da più parti, è un evento storico, un evento regionale e nazionale e da cui l’intera Regione Basilicata ed il Meridione potrebbero trarre dei benefici. Rivolgo un appello ai materani, a tutti i lucani e ai nostri politici e alle nostre istituzioni di imboccarsi le maniche, è di seguire l’approccio post-moderno e di non attendere i finanziamenti del governo che, forse, arriveranno lentamente e non ci darebbero l’opportunità di essere efficienti e pronti per il 2019.  Man mano che i visitatori aumenteranno, il comune di Matera dovrebbe invitare l’industria edilizia a costruire nuovi alberghi uno diverso dall’altro seguendo l’architettura post-moderna che fa parte della nuova estetica urbana. Prossimamente discuteremo di alcuni problemi che fanno parte della vivibilità delle città come mobilità urbana, nettezza urbana con riferimento a  Matera  per aggiungere altre unicità alla città e, al tempo stesso, migliorare la sua vivibilità.

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Giuseppe Fortuna

Giuseppe Fortuna

Sono nato in Basilicata tanto tempo fa. Laureato a Torino in Scienze politiche indirizzo sociologico, ho anche fatto il metalmeccanico. In America sono arrivato come studente, conseguendo un PH.D in Sociologia nel 1983 al Graduate Center del CUNY. Per 30 anni ho insegnato come adjunct nel Dipartimento di Urban Studies al Queens College. Nel 1991 ho pubblicato The Italian Dream e poi diversi altri libri in italiano, recentemente"Italiani nel Queens" (Carocci 2013) e "Una Piazza Meridionale" (Guida Editori 2016). Da pensionato, non ho mai smesso di scrivere e ogni volta che posso "scappo" in Italia

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