Si è già detto e scritto ovunque: la Mostra del Cinema di Venezia, edizione numero 75, ha un programma che sarebbe riduttivo definire “ricco”, a testimonianza di un processo di rinascita – iniziato ormai qualche anno fa – che sembra aver prodotto veramente il “sorpasso”, almeno sul piano della qualità della selezione ufficiale, sul festival di Cannes.
Nella sezione principale c’è di tutto e di più. Ad aprire, poche ore fa, “First Man” di Damien Chazelle – che già aveva inaugurato il Festival nel 2016 con il fortunatissimo “La La Land” – di cui parliamo diffusamente qui sotto. Intorno, pesi massimi da festival, come Yorgos Lanthimos, con “The Favoruite”, come Assayas con “Doubles vies” o Mike Leigh con “Peterloo”.
Dagli States arrivano in concorso i fratelli Coen “The Ballad Of Buster Scruggs” (uno dei titoli Netflix in programma, banditi da Cannes e decisamente benaccetti da Alberto barbera e i suoi selezionatori) e dal Messico un big come Alfonso Cuaron, che dopo il trionfo di “Gravity” è tornato nel suo paese natale per girare “Roma”, un imponente family-drama ambientato negli anni Settanta; fa il percorso inverso l’ex palma d’oro Jacques Audiard, che dalla Francia suo paese natale invece approda a Hollywood con il western d’autore “The Sisters Brothers”.
E ancora, giovani di talento chiamati a riconfermarsi: Làszlo Nemes, che dopo aver incantato con l’esordio “Il figlio di Saul”, è in concorso con “Napszallta”; Brady Corbet, che due anni dopo “The childhood of a leader”, che aveva folgorato Orizzonti, è nella sezione principale con “Vox Lux”, mentre Florian Henckel Von Donnermarck, il regista de “Le vite degli altri”, tenterà di riscattare il pessimo “The Tourist” con “Werk Ohne Autor”. Attesissima anche l’unica donna in concorso, Jennifer Kent, autrice di uno dei migliori horror degli ultimi anni, “The Babadook”, che presenta “The Nightingale”, storia di vendetta al femminile nella Tanzania di metà Ottocento, mentre, Gonzalo Tobal il cui esordio “Villeegas” aveva ben impressionato al festival di Cannes un paio di anni fa, presenta “Acusada”, appassionante legal drama argentino che ha per protagonista una giovane studentesse accusata di omicidio.
Di livello altissimo anche la compagine italiana: Guadagnino, dopo la consacrazione internazionale di “Call me by your name”, si cimenta con il genere e porta in concorso nientemeno che il remake di “Susipiria”; Roberto Minervini, probabilmente il più talentuoso tra i documentaristi italiani, presenta “What you gonna do when the world is on fire?”, indagine sull’insetinguibile razzismo di alcune sacche della società americana, e completa il pacchetto Mario Martone con “Capri Revolution”.
A chiudere questo pacchetto extra lusso, Paul Greengrass e la sua rilettura della strage Utoya con “22 July” e Shinya Tsukamoto con il samurai-movie “Zan”.
Intorno a questo nucleo così denso, ci sono, al solito, le potenziali sorprese delle sezioni cosiddette collaterali, Orizzonti, La settimana della critica e Le giornate degli autori, e una selezione fuori concorso particolarmente densa, in cui spiccano il remake di “È nata una stella” firmato da Bradley Cooper, i nuovi film di Trapero e Gaston Duprat e soprattutto il recupero del film perduto di Orson Welles, “The Other Side of the Wind”, prodotto proprio da Netflix.
Sù il sipario, insomma. Vediamo quali sono stati i verdetti dello schermo della prima serata di Venezia75.
(Simone Spoladori)
“First Man” di Damien Chazelle – Concorso

La mostra del cinema di Venezia si apre con un blockbuster d’autore, “First Man” il quarto film del trentatreenne enfant prodige Damien Chazelle (che apre la Mostra per la seconda volta, dopo aver già inaugurato nel 2016 con La La Land), una ricostruzione delle vicende drammatiche che portarono l’everyman Neil Armstrong a compiere il primo passo sulla superficie lunare.
Un film con dei tratti sorprendenti, innanzitutto perché Chazelle racconta la space age resistendo alla tentazione di cedere a romantiche inquadrature aerospaziali e preferendo una dimensione claustrofobica e terrificante. Questa fetta di storia appare, a tutti gli effetti, una vera e propria guerra, con astronauti-soldati rinchiusi in folli capsule mettaliche, fatte di viti e lamiere e sparate nello spazio. Quel “balzo in avanti per l’umanità”, citato da Armstrong mentre scende dal modulo lunare, è costellato quindi di caduti sul campo, di orfani e vedove “di guerra” rassegnate a non veder tornare dallo spazio i propri mariti astronauti nel nome del duello con i sovietici per la supremazia mondiale.
Inoltre, Chazelle racconta Armstrong nel suo lato più intimo, trasformando il suo viaggio verso la Luna in una ricerca, tutta interiore, di una pacificazione al suo tormento emotivo, originato dalla drammatica scomparsa della piccola figlia, morta a causa di un tumore. L’Armstrong di Gosling è incapace di verbalizzare il dolore, cupo e dolente, in cerca di una “fuga” verso l’alto per osservare finalmente le cose da lontano, da una prospettiva differente – come dice lo stesso Armstrong durante il film – necessaria per rendere piccolo ciò che sembrava enorme e viceversa.
Chazelle gira un film talvolta un po’ troppo “costruito” e poco diretto, ma lo fa con una disinvoltura autoriale sbalorditiva per un regista appena trentatreenne, supportato dalle partiture dell’abituale Justin Hurwitz, dinamiche e introspettive, e da un cast in grande forma, da un Gosling perfetto nella sua consueta scarsa varietà di espressioni a una splendida e intensa Claire Foy, che dà forza alla personaggio di Janeth, moglie dell’astronauta, figura forte e profonda.
(Simone Spoladori)
“Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini – Orizzonti

Un ottimo via alla sezione Orizzonti della 75.ma edizione del Festival del Cinema di Venezia con “Sulla mia pelle”, il film di Alessio Cremonini sugli ultimi 10 giorni di vita di Stefano Cucchi. Scritto da Cremonini con Lisa Nur Sultan, prodotto da Cinema 11 e distribuito da Lucky Red e Netflix, si basa sui verbali e le testimonianze della triste vicenda giudiziaria che, dopo una lunga battaglia, ha portato all’incriminazione di tre carabinieri – per omicidio preterintenzionale e abuso d’ufficio – che nella notte del 15 ottobre lo arrestarono a Roma e poi lo picchiarono brutalmente nella stazione dell’Arma Casilina.
Che il film sia riuscito nella sua aderenza a quanto accaduto in quella tragica notte, e nei 7 giorni successivi, lo dimostra il fatto che sia l’avvocato di Stefano, Fabio Anselmo, sia la sorella della vittima, Ilaria – una convincente Jasmine Trinca – si siano dichiarati soddisfatti del progetto cinematografico.
Il film mette in evidenza, in modo asciutto, senza cedere a un’eccessiva “personalizzazione” della vicenda, le violenze non solo fisiche, ma anche psicologiche, messe in atto da alcuni carabinieri, anche a causa delle quali Stefano – interpretato da un bravissimo Alessandro Borghi – fu spinto a mentire affermando nel primo verbale che le vaste ecchimosi sul suo corpo fossero dovute ad una caduta dalle scale.
“Sulla mia pelle” presenta questa pagina oscura della nostra storia giudiziaria e carceraria affrontandola su due piani: da un lato quello del trentunenne Stefano, reduce da un periodo di riabilitazione nella comunità di San Patrignano, dall’altro il dramma della sua famiglia – con Max Tortora nel ruolo del padre e Milvia Marigliano in quello della madre – costretta all’impotenza da un omertoso muro di disinteresse.
Alessio Cremonini ha acutamente evitato di mostrare le scene di violenza per non alterare l’approccio dello spettatore alla vicenda e ha – con arguta “equidistanza” – indicato nel finale che a casa di Stefano furono trovati 1 kg di hashish e 130 grammi di cocaina.
“Sulla mia pelle” uscirà nelle sale il 12 settembre.
(Beppe Sacchi)