Grande aspettativa per una nuova produzione del Metropolitan Opera Theatre, nella quale ci si attende che la venerabile istituzione si astenga dalle pretenziose scenografie che negli ultimi mesi hanno causato stupore e critiche tra i più autorevoli recensori della stampa americana.
L’opera di cui si tratta è il Roberto Devereux di Gaetano Donizetti, che va in scena il 24 marzo per essere anche ritrasmessa in “alta definizione” a un gruppo di sale cinematografiche il 16 aprile.
Quello che si ha motivo di sperare è che lo scenografo scozzese, Sir David McVicar, abbia lasciato la sua messinscena nel contesto storico originale, senza azzardare nessuno di quei traslochi in epoca moderna che hanno contrariato pubblico e critica in recenti produzioni di opere classiche come la Traviata e la Manon Lescaut. Ciò non foss’altro che per l’impossibilità di trasferire in un diverso contesto un dramma che si svolge necessariamente nell’era della prima regina Elisabetta, cioè nel primo Seicento.
L’opera scritta da Donizetti nel 1837 è basata difatti sull’amore che quella nubile regina avrebbe nutrito per uno dei personaggi della sua corte, Roberto Devereux conte di Essex, amore conclusosi in tragedia quando Elisabetta stessa sarebbe stata indotta, o costretta, a condannare questo gentiluomo alla decapitazione per alto tradimento.
McVicar aveva d’altra parte osservato lo stesso rispetto storico in due altre opere donizettiane allestite al Metropolitan in precedenti stagioni, la Maria Stuarda e l’Anna Bolena, assieme alle quali il Devereux viene a costituire, secondo la pubblicità del teatro, una cosiddetta triade delle regine Tudor. Sono, tutt’e tre le opere, eminenti rappresentanti del bel canto italiano nella prima parte del XIX secolo; Donizetti, tuttavia non intendeva affatto presentarle come trilogia, e ognuna era stata affidata a un librettista diverso.
A stimolare ulteriormente l’interesse per queste opere e in particolare per il Devereux – una delle sole sei nuove produzioni di questa stagione, un numero ridotto rispetto agli anni passati a causa, probabilmente, degli imbarazzi finanziari in cui il Metropolitan risulta ricaduto – è il fatto che in tutte e tre la stessa soprano, l’americana Sondra Radvanovsky, interpreterà il ruolo della regina in una stessa stagione. Questa è un’impresa rara, mai tentata sulla scena lirica americana dagli anni Settanta, quando a realizzarla fu Beverly Sills per la New York City Opera.
Il ritratto che Radvanovsky farà della regina Elisabetta I è atteso con entusiasmo, e un critico, Fred Plotkin di WQXR, unica stazione radio di musica classica newyorchese, ha già ricordato che la soprano era stata “stupenda” nello stesso ruolo quando l’opera era stata presentata a Toronto dalla Canadian Opera Company nel 2014. È in parte in base alla sua presenza nella produzione del Metropolitan che lo stesso critico ha definito la presentazione delle “tre regine” uno dei due “aspetti più importanti” del cartellone di quest’anno del Met (l’altro sarebbe la nuova produzione della Lulu di Berg.)

C’è un ultimo motivo di interesse in questo nuovo Devereux: la direzione dell’orchestra affidata all’italiano Maurizio Benini, noto musicista bolognese e specialista in “bel canto”. La sua è una direzione apprezzatissima, ma qualche critico lo ha accusato di eccessiva velocità nei tempi, un rilievo che fu specificamente fatto a proposito del Devereux quando l’opera venne rappresentata al Covent Garden in forma di oratorio nel 2002. Tuttavia da allora Benini sembra aver rallentato il passo, tanto è vero che nel materiale informativo del Met la lunghezza dell’opera è prevista di due ore e un quarto, cioè circa dieci minuti più lunga di quella indicata sull’ultima registrazione in CD e quindi nella sua durata media.
Benini è uno dei vari direttori le cui prestazioni al Met verranno sicuramente valorizzate quando, tra non molto, dovrà ritirarsi il grande direttore musicale del Met James Levine, il quale è stato assalito dal Parkinson malattia che, causando un tremore alle mani è evidentemente incompatibile con la direzione di un’orchestra.
Altri interpreti della nuova produzione del melodramma donizettiano sono, oltre a Matthew Polenzani nella parte di Devereux, Elīna Garanča nella parte di Sara e Mariusz Kwiecien in quella del Duca di Nottingham, due altri personaggi nell’intrigo di amore e di gelosia che divora i protagonisti principali.
Donizetti, che compose dozzine di opere prima di essere stroncato, a cinquant’anni, da un’inizio di follia e da un colpo apoplettico, manifestò particolare interesse per le vicende della monarchia britannica, ma non si fece mai problemi ad arricchirne la storia quando ciò gli appariva utile agli effetti teatrali. È questo in particolare il caso del Devereux, la cui trama poggia su pochi fatti reali. Ciò che è indubbio è che questo nobiluomo, un tempo favorito della regina che era già avanti negli anni, fu effettivamente processato e giustiziato a 34 anni per aver concluso una tregua non autorizzata con un gruppo di ribelli irlandesi che era stato inviato a sterminare. Ogni altro particolare appartiene alla fantasia di Donizetti e a quella del suo librettista Salvatore Cammarano, che a sua volta si basava sul canovaccio di un drammaturgo francese minore.
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