(ANSA) Sono 449 milioni i bambini che vivono in zone di conflitto. In un anno più di 8mila sono morti o sono stati mutilati con una media di 22 al giorno. Afghanistan, Somalia e Siria – alcune delle principali nazionalità di provenienza delle persone che hanno perso la vita nel naufragio di Crotone – tra i dieci peggiori Paesi dove vivere per i bambini.
E’ quanto emerge dal rapporto “The forgotten ones”, diffuso oggi in Italia da Save the Children nell’ambito della campagna ‘Bambini sotto attacco’ prevede una serie di iniziative di sensibilizzazione fino al 26 marzo, anniversario della guerra in Yemen. L’organizzazione lancia anche il video “Save the Survivors”, basato su storie vere, come quella di Ruba, dalla Siria, che aveva solo pochi giorni quando ha perso i genitori, uccisi dall’esplosione di un barile bomba. O di Dioura, 12 anni, costretta a fuggire e a costruirsi una nuova vita dopo l’attacco del suo villaggio, in Niger, ad opera di gruppi armati. E di Kibrom, 13 anni, che dopo aver viaggiato a piedi per un mese con la madre, riparandosi nelle grotte, è perseguitato dai ricordi delle violenze che ha visto durante il viaggio e terrorizzato all’idea di subirne altre.
Secondo il rapporto l’Afghanistan, insieme ai territori palestinesi occupati, nel 2021 ha registrato il più alto numero di bambini uccisi o mutilati a causa dei conflitti: 633 sono stati uccisi e 1.723 sono stati mutilati a causa di ordigni esplosivi improvvisati, di esplosioni o residuati bellici esplosivi. In Somalia sono stati 793 i bambini uccisi o mutilati: il Paese, da un decennio, è segnato da un numero drammaticamente alto di violazioni nei confronti dei più piccoli, con una media di 847 bambine e bambini uccisi e mutilati ogni anno. La Siria, registra il secondo più alto tasso di reclutamento e utilizzo di bambine e bambini, con 1.301 casi segnalati: il dato peggiore mai toccato nel Paese e drammaticamente in crescita rispetto al 2016, quando erano 961.

The following year was particularly hard for the family. In the space of 12 months Basma lost her father, her best friend, and her favourite teacher during the conflict, which also caused her brother and sister permanent disabilities due to conflict-caused injuries. The family was forced to leave their home and seek refuge in a displacement camp in North East Syria. This ended Basma’s education while she was only in the third grade.
At the camp, and after two years of disruption to her education, Basma was enrolled in Save the Children’s school at the camp. Basma dreams of becoming a doctor one day to honour her father and help fund the treatment of her sick mother.