Il presidente Donald Trump è atteso martedì 1° luglio all’inaugurazione di un controverso centro di detenzione per migranti situato nel cuore delle Everglades, soprannominato “Alligator Alcatraz” per la sua posizione remota e inospitale. La struttura è al centro di forti critiche da parte di attivisti per i diritti umani, leader tribali e ambientalisti.
Trump sarà accompagnato dalla segretaria alla Sicurezza Interna Kristi Noem, che lo ha invitato personalmente. Il centro, installato in pochi giorni presso l’ex aeroporto Dade-Collier, rientra nella politica già nota dell’ex presidente: aumentare i centri di detenzione per migranti in vista di una nuova ondata di deportazioni, promessa chiave della sua campagna.
Nessuna sorpresa, dunque, per una mossa in linea con le posizioni già espresse da Trump e dal governatore Ron DeSantis, che ha sequestrato l’area nel 2023 tramite un ordine d’emergenza bypassando il consiglio della contea di Miami-Dade.
A preoccupare, però, è la scelta del luogo: il centro sorge su un ex airstrip circondato da zone umide protette, in un habitat fondamentale per la pantera della Florida e altre specie in pericolo. “Questo progetto è una minaccia ambientale e una violazione morale,” ha dichiarato Eve Samples di Friends of the Florida Everglades, che ha avviato un’azione legale contro lo Stato.
Le proteste si moltiplicano. Sabato, decine di manifestanti — tra cui membri della tribù Miccosukee, residenti e attivisti — si sono radunati fuori dall’ingresso del sito. “Non è solo una questione di migranti. È una questione di rispetto per questa terra”, ha gridato Betty Osceola del Panther Clan, megafono in mano.
Per i membri delle tribù locali, la costruzione del centro è solo l’ultima di una lunga serie di soprusi. Mae’anna Osceola-Hart, discendente del leader tribale Wild Bill Osceola, denuncia: “Ci hanno tolto le nostre terre sacre negli anni ’60. Ora lo stanno rifacendo. E noi siamo ancora qui a resistere”.
Nel giorno dell’inaugurazione, mentre le telecamere seguiranno l’arrivo di Trump, fuori dai cancelli si prevede un altro presidio. Le tribù non intendono restare in silenzio. “Alcune battaglie cambiano faccia,” ha detto William “Popeye” Osceola, segretario della tribù Miccosukee. “Ma questa è la stessa lotta di sempre: proteggere la nostra terra, la nostra identità e la nostra voce”.