Giro d’affari miliardario e pochi scrupoli. Sono i due tratti essenziali delle agromafie italiane che continuano a crescere a scapito del buon nome – e dei bilanci – delle imprese lungo la filiera agroalimentare. Un fenomeno – quello della criminalità organizzata nella produzione alimentare – che ormai ha assunto dimensioni più che preoccupanti e che minaccia di crescere ancora. Mentre fa proseliti un po’ in tutto il mondo.
A scattare la fotografia aggiornata della situazione è il Rapporto 2025 sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio agromafie e presentato al Centro Congressi Palazzo Rospigliosi di Roma. Si tratta di un’istantanea impietosa, che dice molto sulla necessità di accelerare su controlli e ispezioni.
Per capire, basta sapere che il giro d’affari delle agromafie è arrivato a 25,2 miliardi. Anzi di più: nel giro di poco più di un decennio – viene fatto notare dagli estensori della ricerca – “queste organizzazioni hanno praticamente raddoppiato il volume d’affari, recuperando in breve tempo il terreno perso con la pandemia ed estendendo la loro azione a sempre nuovi ambiti”. E, in effetti, le cosiddette agromafie sono davvero dappertutto: dal caporalato alla falsificazione e sofisticazione dei prodotti alimentari, dal controllo della logistica all’appropriazione di terreni agricoli e fondi pubblici, fino all’usura, al furto e al cybercrime.
“Il settore agroalimentare – viene precisato in una nota – è diventato sempre più attrattivo per le organizzazioni criminali che aumentano sempre più i tentativi di estendere i propri tentacoli su molteplici asset legati al cibo”. Dice tutto l’esempio dello sfruttamento degli immigrati attraverso il caporalato, gestito da reti criminali italiane e straniere.
Ma le agromafie hanno sviluppato una forte capacità di penetrare in ogni meandro del comparto agroalimentare. Le organizzazioni criminali, per esempio, usano le pieghe della burocrazia per promuovere il credito illegale, acquisire aziende agricole e riciclare denaro, mentre gli imprenditori subiscono minacce e danni per cedere terre e attività, anche a causa della crisi legata alle tensioni internazionali e all’aumento dei costi di produzione che ha caratterizzato questi ultimi anni, indebolendo molte imprese. Obiettivo di tutto: arrivare ai fondi pubblici e al controllo di mercati e appalti. Senza dire poi delle infiltrazioni mafiose nella ristorazione, nei mercati ortofrutticoli e nella grande distribuzione. Un capitolo a parte è poi rappresentato dal dilagare dell’Italian Sounding e delle frodi sul packaging.
“La crisi internazionale e i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi la filiera agroalimentare, che appare sbilanciata a favore della distribuzione e penalizza i produttori – sottolinea Gian Maria Fara, presidente di Eurispes –. Molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla GDO e la difficoltà di accesso al credito. Le mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltà, seguendo un modello simile al land grabbing. Questa nuova strategia punta direttamente alla terra e alla produzione primaria, ampliando il controllo lungo tutta la filiera: dalla produzione ai fondi pubblici, fino alla manodopera sfruttata”.
Intanto i coltivatori pare abbiano le idee molto chiare. “Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie che oggi puntano alla filiera agroalimentare allargata il cui valore è salito alla cifra record di 620 miliardi di euro e con un export da 69,1 miliardi”, dice il presidente nazionale di Coldiretti e dell’Osservatorio agromafie Ettore Prandini che aggiunge: “Denunciamo lo sfruttamento in ogni parte del mondo perché la problematica delle agromafie non è solo italiana come dimostra il rapporto. Si va dal caporalato trasnazionale allo sfruttamento dei bambini che per noi si combatte anche con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità. L’Europa dovrebbe puntare l’attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano”.
Già, perché il problema della criminalità organizzata in agricoltura e nell’agroalimentare è ormai un problema globale. Una novità rilevante dell’analisi del Rapporto è la nascita di organizzazioni transnazionali tra Italia e Paesi extra-europei, che agiscono come agenzie informali di intermediazione illecita della manodopera agricola. È il caso di molti lavoratori in arrivo da India e Bangladesh. Ma anche dei gruppi criminali organizzati che operano nel settore primario individuati in Austria, Belgio, Germania, Slovacchia, Spagna e Paesi Bassi. “Tuttavia – lanciano l’allarme i curatori del Rapporto – le loro attività non sono monitorate e catalogate con sistematicità”. Senza dire della mafia cinese che starebbe “aumentando l’interessamento per il settore agricolo mediante l’acquisto di terreni e piccole aziende, e per la stessa logistica”.
Di fronte a tutto questo, l’unica strada è l’aumento dei controlli ma anche la rapida approvazione del disegno di legge italiano che introduce importanti misure di repressione oltre che nuovi reati alimentari.