La plastica sta prendendo sempre più il sopravvento nella zona dei Grandi Laghi, nonostante le misure preventive messe in atto per arrestare il problema.
È dal 2003, infatti, che i volontari di the Alliance for the Great Lakes raccolgono rifiuti in plastica per un totale che, ad oggi, ammonta a 1.7 milioni di pezzi, ovvero l’86% di tutto il materiale raccolto. Dati che essi stessi hanno collezionato nell’arco di un ventennio di lavori di pulizia di oltre 14,000 spiagge, restituendoli in un report pubblicato l’11 aprile di quest’anno.
Il messaggio che vogliono lasciare passare, oltre a dimostrare impegno quotidiano nel salvaguardare l’ambiente tramite l’egregio servizio che offrono alla comunità, è quello di prestare attenzione alla natura insidiosa di questo materiale: ciò che viene gettato nella spazzatura infatti non si disintegra ma resta in circolazione. E loro lo sanno bene: dopo solo due ore di lavoro, vengono estratti circa 25.5 kg di spazzatura dalle sembianze più svariate. Cannucce di plastica, bottiglie di plastica, cucchiai, tappi, piatti e quant’altro possa essere anche solo essere concepito in plastica cosparge il territorio costiero andando a creare un mantello di orrore e impotenza.
L’impossibilità di far fronte ad un volume sempre più incalzante di rifiuti in quella che rappresenta la fonte di acqua potabile per 40 milioni di persone. Olivia Reda, autrice del report e Volunteer Engagement Manager di the Alliance as Outreach Affiliate, commenta la delicata questione affermando che “L’inquinamento dovute alle plastiche nei Grandi Laghi è una minaccia sia per l’umanità sia per l’ambiente. Il volume della plastica trovata sulle nostre battigie dimostra l’urgente bisogno di promulgare leggi federali, statali e locali per ridurre il problema nei laghi. Mentre i nostri volontari si dedicano ogni anno alla pulizia di tonnellate di rifiuti, la plastica si insinua sempre più nelle nostre acque e si spezza in piccole particelle che poi troviamo nell’acqua che beviamo”.
Tali microplastiche (il cui diametro è inferiore a 0.5 mm) sono tuttavia più diffuse del previsto: non solo sono rintracciabili nell’acqua, ma anche nella birra e persino osservate nelle interiora dei pesci del lago Michigan.
Un’altra tipologia di plastica particolarmente difficile da recuperare, sebbene perfettamente visibile, è quella utilizzata per impacchettare il cibo: una volta che questa raggiunge le acque, è praticamente impossibile scinderla dal resto e rimuoverla. Problematica è anche la sua estrazione dalla sabbia, sebbene dal 2014 ne sia stata raccolta circa mezzo milione.
Per far fronte alla diffusione pandemica di tale materiale, visibile o meno che sia nel momento in cui viene rinvenuto, la soluzione è quella di risalire alla fonte; Reda ha ben chiara la strada da intraprendere in tal senso, ricordando che non dovremmo solo fare affidamento sul volontariato e sulle più recenti tecnologie che senz’altro contribuiscono a ripulire le acque (vedi BeBot, un robot elettrico e controllato da remoto capace di spazzare la sabbia ripulendola da bottigliere, resti di sigarette, etc.), bensì incentivare gli Stati ad agire in merito. Mentre in Colorado, California, Maine, Oregon e in alcune zone del Canada (Ontario e Quebec) sono già state elaborate delle strategie, in Minnesota si sta lavorando per introdurre entro la fine dell’anno un piano studiato ad hoc, il “Packaging Waste and Cost Reduction Act”.